Infezioni respiratorie: le infezioni alle vie aeree superiori ed inferiori
L'apparato respiratorio è il distretto con maggiore incidenza e prevalenza di malattie da infezione per l’evidente ragione del suo facile e ampio accesso ad agenti estranei.
Le rinosinusiti sono rappresentate nella maggior parte dei casi dalle infezioni virali del raffreddore comune, solo raramente contaminate anche da sovrapposizione batterica. Si tratta di malattie a risoluzione spontanea, di regola senza necessità di trattamento antibiotico, con l’eventuale ricorso a trattamenti sintomatici rivolti al controllo della febbre e dell’ipersecrezione.
Le rinosinusiti possono costituire un problema patologico maggiore quando si accompagnano a iperpiressia elevata, durano per oltre dieci giorni, producono secrezioni di aspetto mucopurulento o si associano a una sintomatologia respiratoria bassa importante. Tali condizioni aprono alla ragionevole opportunità di un trattamento antibiotico.
Le bronchiti costituiscono una delle condizioni infettive più comuni e per le quali si ricorre a un consulto medico. Sono caratterizzate da infiammazione dei bronchi in qualsiasi parte del loro tragitto dalla trachea agli alveoli polmonari.
Le infezioni occasionali si definiscono acute: si associano a tosse, spesso espettorato, eventuale rialzo febbrile; durano alcuni giorni e guariscono con terapia antibiotica senza lasciare danni permanenti. Le infezioni acute sono favorite da fattori esterni, soprattutto dalla bassa temperatura e dal fumo.
Ripetuti episodi di bronchite acuta comportano però un danno all’epitelio bronchiale, fino a determinare lesioni anatomiche e danneggiamenti funzionali che possono comporre il quadro più grave della bronchite cronica.
La bronchite cronica è esattamente definita: si tratta della condizione clinica con tosse ed espettorato persistenti per almeno tre mesi in un anno e per due anni consecutivi. Il danno cronico consiste in una ipertrofia delle ghiandole mucosecernenti situate nella mucosa bronchiale. Se tale danno si estende, porta alla distruzione delle piccole vie aeree, con la confluenza di più alveoli in pochi spazi aerei, e quindi a una condizione di limitato scambio respiratorio (enfisema polmonare).
A sua volta il danno dell’epitelio bronchiale e delle sue cilia di superficie favorisce il ristagno di agenti esterni (particolati ambientali legati all’inquinamento e al fumo), che innescano fenomeni infettivi ricorrenti (episodi acuti su bronchite cronica).
L’eziologia batterica è in assoluto la più comune. Nelle broncopolmoniti extraospedaliere, gli agenti microbiologici più comunemente responsabili sono Streptococcus pneumoniae, Haemophylus influenzaee, Staphylococcus aureus; nelle polmoniti nosocomiali, le Enterobacteriaceae.
Infezione ed infiammazione vie respiratorie
La diagnosi di bronchite acuta è di solito clinica, quindi basata sull’obiettività del paziente, che manifesta tosse, febbre, e presenta segni auscultatori abbastanza tipici sotto forma di rumori umidi, crepitii, eventuali sibili. Il reperto auscultatorio è comunque molto variabile, può essere anche silente pur in presenza di una infezione rilevante, e dipende dal grado di danno anatomico all’albero bronchiale che si è sviluppato in seguito a pregresse infezioni ricorrenti.
Un esame radiografico è indicato nei casi di sospetta polmonite, oppure nelle condizioni di particolare rischio, per esempio negli anziani. In queste circostanze può essere opportuno anche un esame dell’escreato e un relativo antibiogramma.
La bronchite acuta tende comunque alla autorisoluzione spontanea, favorita da un trattamento di supporto di tipo antinfiammatorio oltre a una adeguata idratazione.
Il confine che divide la necessità o l’inutilità del trattamento antibiotico è spesso sfumato. Da un lato le bronchiti rappresentano una tipica area patologica di abuso di antibiotici; dall’altro, sarebbe deleterio lasciare il focolaio infettivo libero di produrre lesioni irreversibili all’albero bronchiale per la sola ostinazione di evitare il ricorso agli antibiotici.
La decisione a trattare non può sempre basarsi sull’obiettivo riscontro di microrganismi, anzi questa evenienza è molto rara, giacché bisognerebbe ricorrere abitualmente a procedure invasive per il prelievo di campioni di secreto bronchiale potenzialmente contaminato. La terapia antibiotica empirica è quindi la regola – almeno nei casi più comuni di bronchite acuta, quindi la quasi totalità – e si fonda sul buon senso clinico oltre che su una serie di valutazioni obiettive e pratiche.
Nell’ambito della decisione terapeutica, il ricorso empirico all’antibiotico è giustificato nel caso di bronchiti ricorrenti (quindi in un quadro di bronchite cronica o meglio di broncopneumopatia ostruttiva cronica, BPCO), tosse insistente e produttiva, con escreato mucopurulento, o qualora insorga dispnea prima assente o presente in misura minore.
Se la bronchite è un’infiammazione delle vie bronchiali, di solito limitata all’epitelio, la polmonite è un’infezione del parenchima polmonare, quindi un processo più profondo e complesso, responsabile di essudazione alveolare, interstiziale e peribronchiale. Si tratta di una malattia grave, tuttora diffusa e gravata da mortalità significativa, nonostante l’approccio antibiotico, in particolare in pazienti difficili (anziani, defedati, immunodepressi, ricoverati, gravati da altre patologie importanti).
Qualsiasi patogeno – batterio, virus, parassita, fungo – può essere responsabile di una polmonite, anche se lo Streptococcus pneumoniae è l’agente più comune, soprattutto negli adulti. Peraltro il riconoscimento diagnostico microbiologico è spesso infruttuoso, anche dopo ricerche eziologiche meticolose, così che il ricorso alla terapia empirica è inevitabile.
Pertanto la classificazione abituale delle polmoniti non è di tipo eziologico quanto ambientale, riconoscendo le polmoniti comunitarie (ossia insorte nella normale comunità di vita) e quelle nosocomiali, legate cioè al ricovero ospedaliero. L’identificazione di una specifica categoria nosocomiale rende conto della rilevanza epidemiologica di una complicanza spesso difficilmente prevenibile o controllabile, vale a dire la sovrapposizione di una infezione respiratoria in un paziente ricoverato per altre ragioni.
Un’altra modalità classificativa delle polmoniti – più antica ma sempre pratica per il valore clinico – è quella legata alla localizzazione anatomica e al riscontro radiologico. Si distinguono pertanto
- polmoniti lobari, legate all’interessamento di un intero lobo polmonare per diffusione del processo infettivo per contiguità dagli alveoli alle aree limitrofe, ma senza oltrepassare le sierose
- polmoniti lobulari o broncolobulari, con addensamenti multipli e disseminati, anche in entrambi i polmoni
- polmoniti interstiziali, con un coinvolgimento dei setti connettivali, interlobari e interalveolari.
La diagnostica immunologica ha ampliato le possibilità di individuazione eziologia delle polmoniti, permettendo di individuare tassi anticorpali patologici per diversi agenti fra cui Mycoplasma, Chlamydia, Legionella. Il profilo anticorpale qualitativo distingue l’infezione recente (aumento delle IgM) da una pregressa (aumento delle IgG).
Abituale è l’elevazione dei numerosi parametri infiammatori, peraltro aspecifici: VES, PCR, alfa2-globuline, neutrofilia.
L’esame radiologico può mostrare immagini di tipo scolastico (addensamenti lobari franchi), ma più spesso la visualizzazione è sotto forma di addensamenti multipli, a macchia, o a vetro smerigliato (soprattutto nelle forme interstiziali).
Il decorso della malattia dipende soprattutto dalle condizioni generali de paziente, dall’estensione della malattia, dall’agente patogeno e dall’efficacia dell’antibioticoterapia. Fattori prognostici sfavorevoli includono l’età avanzata, la ricorrenza dell’infezione, la presenza di disventilazione, il coinvolgimento pleurico e la concomitanza con altre malattie importanti.