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      Carcinoma Ovarico

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    Carcinoma ovarico: News

    L’enzima della metastasi

    L’importanza della prognosi: un nuovo test per identificare il rischio recidiva

    Sguardi di energia: make up e coccole per le donne con cancro ovarico

    In gara, per vincere sul cancro

    Un aiuto per facilitare la diagnosi di CO

    Il tumore che migra

    Journal of Clinical Oncology - Terapia ormonale, qualche buona notizia

    Uno per tutti: un pap test in grado di stabilire il rischio per 4 tumori femminili

    Nuovi marcatori genetici

    I geni della chemio-resistenza

    La diversità in ogni avatar

    Diagnosi precoce: un maxi studio promuove l’esame del sangue

    Scatti d’energia contro il tumore ovarico

    Le cellule mesoteliali attirano il cancro

    Maurizia Cacciatori contro il cancro ovarico

    Che bel profilo, quel tumore

    L’importanza della diagnosi

    Cancro e fertilità

    L’enzima delle metastasi

    Siciliano, 32 anni e ricercatore promettente di Oxford. Fabrizio Miranda ha fatto una scoperta che potrebbe spegnere – per così dire – l’interruttore del tumore ovarico, uno dei tumori meno conosciuti e più aggressivi per la donna. Miranda spiega che il tumore ovarico forma metastasi in una zona ricca di cellule adipose, l’omento. Nelle cellule tumorali ovariche è presente e attivo un enzima che stimola ad usare come nutrimento proprio le cellule adipose: ecco perché le metastasi sono più frequenti in questa “regione”.  «Le cellule del carcinoma ovarico – spiega Miranda – sono in grado di crescere e proliferare grazie a questo enzima. È come se quest’ultimo fosse un interruttore metabolico della proliferazione delle cellule del carcinoma ovarico nel particolare ambiente della cavità peritoneale». Avendo scoperto questo enzima, il passo successivo consisterà nel renderlo inattivo, così che le cellule tumorali non riescano più a “nutrirsi”. Una volta individuata una molecola adatta saranno necessari anni per il suo passaggio nelle diverse fasi sperimentali: si dovrà valutare tossicità, sicurezza, efficacia in vitro, in vivo nell’animale e quindi sperimentare nella donna ciò che può avere tutte le carte in regola per funzionare. Si tratta di un periodo di circa 10-15 anni: la ricerca di base, tuttavia, è essenziale affinché si inneschi questo processo. Capire che questo enzima esiste è alla base di tutto ciò che verrà dopo.

    Il cancro ovarico - secondo il Registro Tumori – colpisce ogni anno in Italia circa 4.500 donne e in genere viene diagnosticato in fase avanzata. Si tratta, come dicevamo, del tumore più aggressivo, con basse probabilità di sopravvivenza in caso di diagnosi tardiva. Miranda, dopo anni all’estero, ha deciso di tornare in Italia e di provare a chiedere i finanziamenti qui per la sua ricerca e gli studi sulle metastasi del tumore ovarico.

    Fonte: LaSicilia

    L’importanza della prognosi: un nuovo test per identificare il rischio recidiva

    L’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano ha messo a punto un nuovo test – MiROvaR – per distinguere tra le donne affette da carcinoma ovarico quelle che sono ad alto rischio di recidiva o di progressione della malattia rispetto a quelle a basso rischio, la cui sopravvivenza senza malattia è in media di 38 mesi. Il Test si basa sull’analisi dei cosiddetti micro-RNA, piccole sequenze di acido nucleico che agiscono sull’espressione genica mascherando e silenziando parti di Dna.

    Le ricercatrici Marina Bagnoli e Silvana Canevari dell’INT di Milano insieme ai colleghi del Multicentre Italian Trials in Ovarian cancer (MITO) translational group hanno prelevato 900 campioni di tumore ovarico al momento della diagnosi e ne hanno analizzato l’espressione dei micro-RNA. In questo modo si è cercato di capire se e quali micro-RNA fossero collegati all’andamento del tumore e quindi alla prognosi per la paziente. Alla fine dello studio  si è visto che 35 micro-RNA sono connessi con il rischio di progressione o recidiva e da questo pool si è poi costruito  un test prognostico, il MiROvaR(Risk of Ovarian Cancer Relapse or progression). Il test permette di suddividere le donne in due classi di rischio: alto rischio e basso rischio di recidiva e progressione della malattia. Per avere un risultato non è importante la fase della malattia in cui si trova la paziente né la quantità di tumore residuo (perché non può essere asportato chirurgicamente).

    Purtroppo, come sappiamo, la diagnosi tardiva del tumore alle ovaie non dà molte chance: una donna su tre riesce a raggiungere i 5 anni di sopravvivenza a partire dalla diagnosi. Per questo la ricerca ha deciso di dedicarsi alla messa a punto di un test che possa aiutare a capire come evolverà la malattia ed eventualmente intervenire in modo più aggressivo. Questi studi permettono anche di comprendere perché alcuni tumori ovarici sono resistenti alla chemioterapia e cosa li rende più o meno aggressivi.

    È la prima volta in assoluto che viene dimostrata la capacità prognostica e il probabile ruolo dei micro-RNA nella progressione del tumore dell'ovaio.


    Fonte: Repubblica

    Sguardi di energia: make up e coccole per le donne con cancro ovarico

    Essere più belle, prendersi cura di sé, farsi coccolare: sono queste le parole chiave che descrivono la campagna “Sguardi di energia”, dedicata alle pazienti con tumore ovarico. Si tratta di un’iniziativa itinerante salutata con complimenti, entusiasmo dalle donne che vi partecipano: ACTO onlus in partnership con Youngblood Mineral Cosmetics e il supporto di Roche ha deciso di mettere a disposizione delle donne con tumore ovarico sedute di trucco e sostegno psicologico. Al termine della seduta, ogni paziente riceve in omaggio un kit composto da un cofanetto contenente i prodotti utilizzati durante la seduta di make up oltre a informazioni su come prendersi cura della propria pelle durante la malattia.

    La campagna itinerante ha toccato diverse città nel 2015: Milano, Roma e Bari. Nel 2016 ha aperto con Napoli e quindi è approdata a Modena dal 20 al 24 giugno scorso, presso il Centro Oncologico Modenese – COM. 

    Questa idea nasce con lo scopo di restituire alle donne ciò che a volte la malattia può togliere: la fiducia in sé stesse, nel proprio aspetto esteriore e nella propria forza interna. Volersi bene esteriormente attraverso il trucco, le cure di bellezza, accorgimenti per capelli e look, permette di ritrovare autostima ed energia interiore, così da affrontare con un pizzico di ottimismo in più le difficoltà dovute alla malattia e alla cura terapeutica. 

    Il cancro ovarico è, tra i tumori femminili, il più subdolo e insidioso: poco conosciuto e difficile da diagnosticare, spesso lascia segni pesanti sulle donne che ne sono colpite. 

    La partecipazione a “Sguardi di energia” di oltre 400 donne nel 2015 e il loro riscontro positivo (per farsi un’idea basta andare sulla pagina Facebook del progetto e leggere i commenti, lasciati dalle donne che hanno partecipato) ha fatto sì che la campagna potesse continuare con entusiasmo, anche in città più piccole rispetto a quelle dell’anno scorso. 

    «Ci siamo lasciati contagiare dal successo che questa iniziativa ha riscosso in altri ospedali italiani e dall’impatto positivo sulle pazienti, oltre che dal fatto che una simile opportunità permette di trasmettere informazioni a tutte le donne, perché purtroppo è raro cogliere il tumore ovarico in fase inziale in quanto la comparsa dei sintomi spesso è il segno di una malattia già avanzata» dichiara Roberto Sabbatini, Responsabile dell’attività del Gruppo Multidisciplinare di Oncologia Ginecologica ed Urologica del Dipartimento, ad attività integrata, di Oncologia ed Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena. «Il Registro Tumori attivo a Modena riporta circa 60 nuovi casi l’anno di tumore ovarico: è fondamentale che le donne si sottopongano a periodiche visite ginecologiche per diagnosticare in tempo una massa ovarica, e che non sottovalutino i sintomi che si presentano. Ma è altrettanto importante offrire alle pazienti, insieme alle terapie, una migliore qualità di vita perché possano affrontare con energia e positività il percorso di cura, specie le donne più giovani».

    Le azioni delle associazioni come ACTO onlus hanno l’importante compito di sensibilizzare le donne affinché si riesca a intervenire precocemente, con una diagnosi tempestiva. Lo scopo è quello di far conoscere il tumore ovarico da un lato, e dall’altro di prestare assistenza alle donne che lo stanno affrontando: non solo con la terapia migliore, ma anche attraverso attività che possano alleviare le sofferenze e migliorare la qualità di vita delle pazienti.

    Fonte: www.informazione.it

    In gara, per vincere sul cancro

    Prima di tutto: tre storie una sfida è il nome del progetto a favore del tumore ovarico ideato da Giovanna Rossi e reso possibile dalla Fondazione Grade onlus e Loto onlus. L’obiettivo del progetto ‘Prima di tutto’ è rendere virale un’iniziativa per la promozione della prevenzione e per la raccolta di fondi a favore della fondazione Grade onlus di Reggio Emilia e di Loto onlus di Bologna, che lavorano con pazienti oncologici. Grade si occupa di pazienti con malattie oncoematologiche e Loto onlus di donne affette da tumore ovarico. 

    Tre atlete di Reggio Emilia si sono impegnate in una staffetta per la Challenge Rimini 2016, una gara di triathlon internazionale che si è svolta a Rimini l’8 maggio 2016, in occasione della Giornata mondiale sul tumore ovarico. Il triathlon prevede 1900 metri di nuoto, 90 km in bici e 21 km di corsa. 

    Le tre donne che parteciperanno a questa gara sono Giovanna Rossi, fondatrice dell’iniziativa, Marina Davolio e Catia Cantarelli. Tre donne che con la loro forza e determinazione e aiutate dallo sport hanno attraversato periodi difficili e invalidanti. Non si sono però scoraggiate e hanno continuato a praticare sport non solo come competizione, ma anche come terapia utile per risollevarsi dalla malattia. 

    All’evento di presentazione e inaugurazione del progetto è intervenuto il sindaco Luca Vecchi: “Il Comune sostiene con entusiasmo questa iniziativa per il significato che porta con sé e per il valore che attribuisce alla pratica sportiva. Essa ci interroga infatti sulla vita e sui suoi momenti più difficili, come quello della malattia, mostrandoci come reagire e combattere le difficoltà anche attraverso lo sport. Non a caso abbiamo scelto di investire tanto nello sport come elemento di crescita della città e della comunità. Spesso lo sport è più visibile nella sua dimensione spettacolare e di competizione, ma lo sport è anche educazione, strumento di veicolo del senso etico e della giusta gerarchia di valori e per questo lavoriamo con le scuole e con le associazioni sportive per rafforzare il contributo che lo sport, nelle sue diverse forme, può portare alla coesione della città”.

    “Quest’anno per me — dice Marina Davolio — è stato come combattere tre guerre contemporaneamente. Una personale, contro il mio carcinoma, una fisica, per riuscire a lavorare nonostante le cure, e una psicologica, non tanto contro le mie paure, ma soprattutto contro quelle degli altri. Ho accettato questa sfida anche per provare a sfondare il muro di omertà o al contrario di morbosità che mi sono trovata tante volte davanti. Credo che la parola tumore non debba più essere impronunciabile, non debba più evocare strani miti e allontanare le persone. Questa è la sfida che porto, il mio testimone da passare a Catia e Giovanna”.

    Giovanna Rossi ha anche un blog – 46percento – in cui si è potuto  seguire la preparazione e le varie tappe per arrivare all’otto maggio.
     

    Fonte: Bologna2000

    Un aiuto per facilitare la diagnosi di CO

    I ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’Università di Leuven in Belgio hanno studiato un metodo per aiutare a quantificare il rischio di tumore ovarico.

    Lo studio, pubblicato sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology, ha analizzato i dati di circa 5000 donne, raccolti per 13 anni (1999-2012) in 22 centri ospedalieri. Il metodo ha permesso di identificare correttamente tra l’89 e il 99 per cento dei casi di carcinoma ovarico.

    Ma in cosa consiste questo nuovo metodo? Poiché l’ecografia – sebbene sia lo strumento diagnostico d’elezione per rilevare cisti benigne o maligne  –  non era risolutiva per il 20-25% delle pazienti, si è studiato un metodo che permettesse di rendere più chiara e precisa l’interpretazione dei risultati.

    Il gruppo International Ovarian Tumor Analysis (IOTA), guidato da Timmerman, ha progettato e convalidato un  algoritmo con l’obiettivo di standardizzare la lettura dell’ecografia. Si tratta di regole semplici, create con un linguaggio e dei criteri utilizzabili sia in centri oncologici specializzati che in strutture più piccole.

    In questo modo si evita di perdere tempo prezioso: riconoscere subito una lesione maligna e distinguerla da quelle benigne è importante per capire come e se intervenire.

     

    La notizia è importante poiché si tratta di un tumore in cui la maggior parte dei casi – circa l’80% - viene diagnosticato quando ormai si trova in fase avanzata con una percentuale di guarigione molto bassa. A fronte di una scoperta tardiva della malattia, la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti è solo del 35 per cento.

    Rispetto ad altri tumori femminili il cancro alle ovaie è poco conosciuto e mancano strumenti di prevenzione o diagnosi precoce. «Dolori e gonfiore addominale, stitichezza o difficoltà digestive non vanno trascurati - dice Giovanni Scambia, direttore del Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e del Bambino al Policlinico Gemelli di Roma - : sebbene molto vaghi, devono destare preoccupazione se perdurano per settimane e, soprattutto, se non sono mai stati presenti. Particolare attenzione è poi richiesta alle donne con una familiarità, più a rischio di ammalarsi. In questi casi basta rivolgersi subito al ginecologo che deciderà gli accertamenti da fare, tra i quali i nuovi test genetici, che vanno alla ricerca di mutazioni del Dna (quelle dei geni Brca) che predispongono all’insorgenza di questa forma di cancro e che stanno aprendo scenari fino a pochi anni fa impensabili per la prevenzione, la diagnosi e la cura di questo tumore».

    Infine, è importante valutare anche altri fattori in gioco: la maggior parte dei tumori alle ovaie viene identificata dopo l’ingresso in menopausa, ma alcuni tipi di tumore dell’ovaio possono presentarsi in donne più giovani. Gravidanza e allattamento sembrano essere fattori protettivi, mentre un’incidenza maggiore di tumore all’ovaio è presente in donne soggette a menarca precoce o menopausa tardiva. Per quanto riguarda gli stili di vita, obesità, fumo e sedentarietà sono fattori di rischio.

    La speranza è che con queste semplici nuove regole sia possibile anticipare la diagnosi di tumore ovarico migliorando così la prognosi delle pazienti.

     

    Fonte: Corriere

     

    Il tumore che migra

    La formazione di metastasi, ossia la migrazione delle cellule tumorali dalla sede primitiva del tumore fino ad altri organi, è un momento fondamentale per lo sviluppo del tumore. Spesso i tumori vengono diagnosticati tardivamente, quando già le metastasi sono comparse. Anche nel carcinoma ovarico talvolta le pazienti presentano malattia diffusa alla diagnosi, fatto che incide negativamente sulla prognosi.  Capire i meccanismi alla base della formazione delle metastasi è un passo importante, recentemente raggiunto grazie a uno studio condotto con i finanziamenti AIRC e pubblicato su Oncogene.

    I ricercatori, guidati da Laura Rosanò e Anna Bagnato dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, hanno tracciato le varie tappe della cascata di eventi che porta al rimodellamento dei filamenti di actina. L’actina insieme ad altre proteine costituisce “lo scheletro” cellulare.  Il rimodellamento dei filamenti di actina è necessario perché una cellula tumorale possa allontanarsi dal tumore primario e colonizzare altre zone dell’organismo.

    Era già noto che le proteine beta arrestina ed endotelina avessero un ruolo in questo processo. Era però necessario chiarire come queste proteine interagissero tra loro e quali fossero gli elementi coinvolti nella cascata. Tali processi, infatti, avvengono a catena: ogni fattore ne attiva un secondo, che ne attiva un altro e così via fino al risultato finale.

    «Siamo riusciti a osservare che l’endotelina in collaborazione con la b-arrestina, utilizza un nuovo partner, PDZ-RhoGEF, per attivare RhoC, stimolare la formazione delle protrusioni e degradare il tessuto circostante», spiega Rosanò. Le protrusioni (chiamate invadopodi) si formano in seguito al rimodellamento dei filamenti di actina e rilasciano enzimi che degradano la matrice che circonda la cellula, permettendole di migrare dalla sede primitiva.

    «Conoscere i meccanismi mediante i quali ciò accade permette di intervenire sulla cellula cancerosa in modo mirato, per fermare il processo di metastatizzazione con farmaci specifici», spiega Rosanò.

     

    Fonte: Salute24.ilsole24ore

    Journal of Clinical Oncology - Terapia ormonale, qualche buona notizia

    In seguito al trattamento e alle terapie eseguite per la cura del carcinoma ovarico, alcune donne possono sviluppare sintomi legati alla  menopausa indotta dalla terapia.

    Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Oncology per ovviare a questi sintomi è possibile affidarsi alla terapia ormonale sostitutiva. La ricerca ha seguito le pazienti sottoposte a questa terapia per 19 anni, riscontrando un miglioramento della sopravvivenza globale (OS) e della sopravvivenza libera da recidiva (RFS) rispetto ai controlli senza tale terapia.

    L’esperimento ha preso in esame – dal 1990 – 150 donne con diagnosi di tumore all’ovaio.

     Le partecipanti sono state suddivise in modo casuale in due gruppi di cui solo uno era sottoposto a terapia ormonale sostitutiva per 5 anni.

    Gli autori, guidati da Rosalind A. Eeles, dell’Institute of Cancer Research, di Londra, affermano: “Questo studio ha dimostrato come le donne che, dopo esser state trattate per carcinoma ovarico, hanno sintomi severi legati alla menopausa possano ricevere terapia ormonale sostitutiva, senza conseguenze  sulla sopravvivenza"

    La terapia ormonale sostitutiva è dunque un’opzione che le donne potrebbero prendere in considerazione al termine di un trattamento contro il cancro all’ovaio, almeno per un anno. Nonostante questi risultati, i ricercatori credono che sia comunque necessario fornire stime più accurate attraverso uno studio che prenda in considerazione più casi.   

     

    Fonte: Pharmastar

    Uno per tutti: un pap test in grado di stabilire il rischio per 4 tumori femminili

    FORECEE è il nome di un programma europeo ambizioso, al quale – in Italia – ha aderito l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). Si tratta di uno studio, finanziato dalla Commissione Europea con il contributo della Onlus inglese Eve Appeal, per un totale di 8,9 milioni di Euro, che punta a far conoscere alle donne il rischio di sviluppare uno dei 4 tumori femminili (seno, ovaio, collo dell’utero ed endometrio) attraverso un solo test. Un pap test, per la precisione.

    L’obiettivo è molto importante, soprattutto per quanto riguarda il tumore all’ovaio e all’endometrio: mentre per seno e collo dell’utero molto è stato fatto sulle tecniche diagnostiche che permettono di agire per tempo e di ridurre così la mortalità, per gli altri due tumori ancora non è stato sviluppato un adeguato sistema di screening.

    Si calcola che questi quattro tumori colpiscano ogni anno più di 500 mila donne in Europa e che rappresentino il 47% di tutti i tumori nelle donne.

    FORECEE è coordinato dall’University College London (UCL) e raggruppa 14 partner in Europa, fra cui il Karolinska Institute di Stoccolma o il tedesco Max Planck Institut. La ricerca avrà una durata di quattro anni a partire da settembre 2015, quando verranno reclutate 6 mila donne, di cui mille italiane.

    I ricercatori vogliono quindi analizzare le cellule prelevate dai pap test in modo da capire se esistano e quali siano i  marcatori per tutti e quattro i tumori, così da poter ridurre il numero di test di screening  - con un notevole guadagno anche psicologico per la donna  -  ma anche,  di conseguenza, i tempi e i costi.. Quando si esegue un pap test infatti, solo il 3% delle cellule prelevate dalla cervice uterina viene utilizzato per diagnosticare tumori in quella sede. Il resto del materiale cellulare può quindi essere messo a disposizione per altre analisi. Ovviamente si tratta di capire quali siano le molecole da considerare per valutare il rischio di andare incontro agli altri tre tumori, così differenti.

    Grazie a una ricerca condotta dall’UCL che si occuperà del progetto, si è visto che alcune mutazioni tipiche dei tumori al seno, all’ovaio e all’endometrio sono presenti anche in altre cellule epiteliali, in particolare in quelle cervicali prelevate con il pap test.

    Il progetto non vuole fermarsi al semplice calcolo del rischio genetico, ma va oltre: attraverso un approccio più completo e che analizzi tutta la storia della donna – dalle abitudini agli stili di vita, passando per fattori ambientali e patologici – nonché tracciando un quadro ginecologico e riproduttivo, gli studiosi di FORECEE vogliono arrivare a stabilire per ogni donna la probabilità di sviluppare uno dei quattro tumori nei successivi 5 o 10 anni.

    Il nuovo test che nascerà si chiamerà WID, Women’s cancer risk IDentification e potrebbe davvero salvare moltissime vite.

     

    Fonte: Rainews

    Nuovi marcatori genetici

    La diagnosi per il cancro alle ovaie, il tumore femminile meno noto e pertanto tra i più insidiosi, si arricchisce di nuovi marcatori genetici. Lo studio “Systematic transcriptome analysis reveals tumor-specific isoforms for ovarian cancer diagnosis and therapy” – pubblicato su PNAS – è stato condotto da Christian Barrett e realizzato dall’Università della California di San Diego e dal Moores Cancer Center di La Jolla.

    Per arrivare alla scoperta di questi nuovi marcatori, ossia elementi genetici la cui presenza o assenza è collegata all’insorgenza della malattia, i ricercatori hanno analizzato le sequenze di RNA messaggero (mRNA) di 296 tumori ovarici e di 1.839 campioni di tessuto normale. Grazie a queste analisi sono state identificate 6 varianti di mRNA idonee per consentire una diagnosi precoce del cancro ovarico.

    La novità è data proprio dal tipo di materiale genetico sfruttato dai ricercatori come marker: non si tratta più del DNA, ma della sua trascrizione, un frammento di RNA. In pratica lo studio si focalizza sui geni espressi e non su tutto il “libro delle istruzioni”. Una cellula tumorale, infatti, ha al suo interno solo poche mutazioni di DNA, mentre le varianti di mRNA possono essere centinaia o migliaia per ogni cellula. Per selezionare le varianti utili ai fini della diagnosi precoce, i ricercatori hanno messo a punto un algoritmo bioinformatico testandolo su due banche dati genetiche, il The Cancer Genome Atlas (Tcga) e il Genotype-tissue expression (GteX). Lo studio ha inoltre permesso di identificare sia i geni di origine sia le proteine codificate, in modo da avere a disposizione anche eventuali target terapeutici, bersagli per nuovi farmaci e cure future.

    “Il prossimo passo sarà confermare la presenza di questi marcatori in casistiche di donne con cancro ovarico, documentandone l'assenza in quelle sane”, concludono gli autori, uscendo così dall’analisi in vitro e di tipo computazionale.

    Ricordiamo infine che l’importanza di questa ricerca si deve al fatto che la diagnosi precoce è l’unica arma attualmente disponibile per battere questo tumore, in modo che le donne possano avvicinarsi per tempo alla terapia più adatta. 

     

    Fonte: Italiasalute

    I geni della chemio-resistenza

    Il carcinoma ovarico serioso, la forma più maligna di cancro all’ovaio, ha la pessima caratteristica di resistere alla chemioterapia. Per questo il tasso di sopravvivenza è molto basso. Di tutti i tumori all’ovaio, inoltre, rappresenta il 70% dei casi. Uno studio pubblicato su Nature e condotto da David Bowtell, professore del Peter MacCallum Cancer Centre di Melbourne ha permesso di effettuare un’analisi del cancro alle ovaie estesa a livello genetico per scoprire i motivi della resistenza ad alcuni farmaci. Si è trattato di registrare la sequenza Dna di 114 campioni di cancro sieroso alle ovaie prelevati da 92 pazienti in varie fasi di progressione della malattia, per mostrare come le cellule cancerose resistono alle terapie. La ricerca, a cui hanno collaborato l’University of Queensland e il Millennium Institute di Sydney, consentirà di capire quali farmaci hanno più probabilità di essere efficaci, scrive Bowtell sulla rivista Nature. “Mappando tutte queste mutazioni potremo cominciare a catalogare i modi in cui il cancro evade un dato trattamento e compiere scelte migliori e mirate riguardo ai farmaci che possono essere usati in uno scenario ricorrente”, aggiunge. Lo scopo è quindi quello di conoscere l’interazione tra geni e chemioterapia, in modo da sfruttare al massimo le terapie a oggi disponibili. Il team di ricerca ha scoperto come un cancro aggressivo muta sotto l’effetto della chemioterapia: prima è molto vulnerabile, poi altamente resistente. I risultati rivelano almeno quattro cambiamenti genetici attraverso cui il tumore prova ad eludere una chemioterapia inizialmente efficace: “In due dei meccanismi le cellule tumorali trovano un modo per ripristinare la loro capacità di riparare il DNA danneggiato e resistere agli effetti della chemioterapia; in un altro caso, le cellule tumorali attivano un interruttore genetico che permette loro di pompare sostanze immuni ai trattamenti chemioterapici. Un ulteriore meccanismo vede la struttura molecolare del tessuto tumorale rimodellarsi, così che questo tessuto cicatriziale impedisce alla chemioterapia di raggiungere il proprio bersaglio”. Si spera che con queste nuove ricerche massicce sulla relazione geni-terapia sia possibile in futuro migliorare le prospettive di vita per pazienti con carcinoma ovarico ricorrente.

     

    Fonte: Eurekalert

    La diversità in ogni avatar

    Non esiste un solo tumore ovarico: ciascuno infatti ha caratteristiche morfologiche, genetiche e terapeutiche particolari. Alcuni sono più sensibili a certi farmaci, altri meno. Anche le donne sono tutte diverse l’una dall’altra e ciascuna donna con tumore ovarico porta con sé il suo bagaglio di peculiarità. Per questo due ricercatrici dell'Istituto Mario Negri di Milano - Raffaella Giavazzi, responsabile del Laboratorio di biologia delle metastasi, e Giovanna Damia, capo dell'Unità di riparazione del Dna – hanno deciso di riprodurre in laboratorio le varietà di tumore ovarico esistenti, così da avere tanti “avatar”, di chi, purtroppo, con il tumore ci fa i conti ogni giorno. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Cancer Research. «Il cancro all'ovaio è una malattia molto complessa, con differenze anche significative

    da donna a donna, e richiede quindi trattamenti diversi. Facendo crescere in vivo (nei topi,ndr) le cellule di una trentina di malate, siamo riusciti a descrivere nel dettaglio numerose di queste peculiarità, e a fornire un quadro più preciso dei molti volti della malattia».

    Le differenze tra modello animale e donna sono ovviamente moltissime, tuttavia si possono ottenere importanti informazioni grazie a questa tecnica, complessa, che permette di far sviluppare un tumore umano fuori dalla sua sede naturale. La ricercatrice spiega infatti che grazie a questi modelli è possibile studiare la sensibilità a un farmaco e ottenere dati che permettano di costruire una cura personalizzata per quel tipo di tumore. Si può valutare la risposta in caso di metastasi e sperimentare in modo indiretto farmaci ancora in studio. Per parlare di terapia ad hoc quindi è necessario davvero avere dei modelli specifici di ciascun tumore in riferimento alla paziente. Un avatar, in laboratorio, che prova prima di te ciò che potrebbe aiutarti nella terapia.

     

    Fonte: Il venerdì

     

     

    Diagnosi precoce: un maxi studio promuove l’esame del sangue

    Basterebbe un esame del sangue e l’analisi dei livelli di una sostanza chiamata CA125, un marker tumorale, per riuscire nella diagnosi precoce: è il risultato di un maxi studio britannico che ha coinvolto 46 mila donne in 14 anni. Grazie a questo test sembra infatti possibile individuare precocemente l’86% dei casi di malattia. L’idea di effettuare uno screening di massa potrebbe essere alle porte, proprio perché è la diagnosi l’elemento critico del tumore alle ovaie. Ovviamente occorre andare cauti ed evitare inutili entusiasmi. Lo studio è stato condotto da parte di ricercatori della University College di Londra e i primi dati sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology a pochi giorni dall'8 maggio, data in cui si celebra la terza Giornata mondiale del tumore ovarico. La particolarità di questo tumore è che i sintomi sono generici, comuni ad altre situazioni e poco specifici. Dolori addominali, gonfiori, difficoltà a mangiare: sono elementi che poco possono allertare una donna. L’esame del sangue e l’individuazione del marker CA125, associato a questo cancro, sembra essere una buona strada da percorrere per una diagnosi tempestiva. Usha Menon, dell'University College, mostra comunque la tradizionale cautela degli studiosi: "È una buona indicazione - ha detto alla Bbc - ma è ancora da vedere se ci permetterà di arrivare a diagnosi abbastanza tempestive  per salvare un numero rilevante di vite”. In Italia, secondo i dati dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), ogni anno vengono diagnosticati 6.000 nuovi casi e circa 37.000 donne convivono con questo tumore. I dati sulla mortalità – ottenuti da questo studio imponente – saranno pronti in autunno e solo allora potremmo dire se effettivamente lo screening è efficace e ha senso.

     

    Fonte: La Repubblica

     

    Scatti d’energia contro il tumore ovarico

    Il cancro ovarico è poco conosciuto: è un dato di fatto, le donne non sanno bene cosa sia e spesso lo confondono con quello all’utero, più noto. Per questo sono necessarie campagne di sensibilizzazione che lo facciano uscire allo scoperto. ‘Scatti d’energia’ è una campagna nazionale d’informazione e sensibilizzazione promossa da ACTO Onlus - Alleanza Contro il Tumore Ovarico, con il sostegno di Roche, per rompere il muro di silenzio che circonda il tumore ovarico, il più insidioso e meno conosciuto tra i tumori femminili.

    Ogni anno in Italia si registrano circa 5.000 nuovi casi di tumore ovarico. Nel 75% dei casi il carcinoma ovarico viene diagnosticato quando è già in stadio avanzato perché la malattia nelle sue fasi iniziali si accompagna a sintomi aspecifici e non riconosciuti. Secondo una ricerca promossa da ACTO Onlus insieme a ONDA, l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, il 70% delle donne italiane di età compresa tra i 40 e 65 anni non conosce la sintomatologia del tumore ovarico. La diagnosi non tempestiva, facilitata dalla scarsa informazione, può influenzare l’esito delle terapie e la possibilità di sconfiggere la patologia.

    Per colmare il vuoto d’informazione che caratterizza il tumore ovarico, ACTO Onlus ha deciso di coinvolgere nella campagna celebrities e cittadini comuni, che attraverso “foto con messaggio”, diffuse nelle piazze o attraverso il web, potranno sensibilizzare tutte le donne sull’importanza di conoscere i sintomi di questa patologia, non trascurarli e sottoporsi regolarmente a visita ginecologica.

    La campagna Scatti d’energia si sviluppa attraverso:

    • la mostra-evento, allestita nei centri storici delle più importanti città italiane;
    • attività social promosse sul web per favorire la partecipazione dei cittadini.

    La mostra evento propone le foto d’autore in stile “selfie” di personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura, che hanno accettato di farsi ritrarre da Dirk Vogel, fotografo delle star. Tra i personaggi che hanno scelto di prestare il loro volto per la campagna ci sono Jane Alexander, Anna Bonaiuto, Lorella Cuccarini, Francesco Renga e Emma Marrone, per citarne alcuni.

    La mostra-evento con i ritratti delle star è partita da Milano, in piazza Cordusio, dove è stata allestita dal 10 al 16 settembre. Nei pressi dell’installazione è distribuito gratuitamente il leaflet informativo di ACTO Onlus ‘10 fatti che tutte le donne devono conoscere sul tumore ovarico’.

    I visitatori possono inoltre ritirare la prima Guida al Tumore Ovarico realizzata da ACTO Onlus in collaborazione con 7 società scientifiche. Sarà inoltre possibile lasciare un proprio messaggio sul libro delle firme della mostra. Dopo la tappa inaugurale di Milano, tra il 2014 e il 2015 la mostra sarà ospitata a Napoli, Roma, Bari e in altre città.

    I cittadini potranno diventare protagonisti della campagna e promuovere l’informazione che aiuta ogni donna a conoscere e a riconoscere i sintomi della malattia caricando sulla pagina Facebook di Scatti d’energia (www.facebook.com/scattidenergia) un selfie con un proprio messaggio, che si affiancherà ai ritratti dei personaggi famosi nella webgallery ospitata sul sito della campagna (www.scattidenergia.it).

    Per tutte le informazioni sul tumore ovarico, i Centri di cura specialistici e le iniziative di ACTO onlus: www.actoonlus.it.

     

    Fonte: D Repubblica; Corriere.it

     

     

    Le cellule mesoteliali attirano il cancro

    Il cancro all’ovaio non se ne sta fermo: la carcinosi peritoneale è infatti una delle evoluzioni peggiori. Il cancro metastatizza, andando a colonizzare gli organi della cavità addominale, rivestiti da cellule mesoteliali. Sembra che queste cellule non siano spettatrici passive del processo. Uno studio americano, pubblicato su Journal of Clinical Investigation, ha invece scoperto che queste cellule potrebbero “attrarre” il tumore. Ernst Lengyel, insieme ai suoi colleghi dell’Università di Chicago, utilizzando colture cellulari tridimensionali, ha dimostrato che le cellule mesoteliali umane secernono fibronectina in presenza di cellule tumorali ovariche. Questa sostanza è espressa in quantità maggiori quando siamo in presenza del tumore. Sembra quindi che la fibronectina sia in grado di facilitare la migrazione e l’adesione delle cellule tumorali presenti nell’ovaio fino agli organi ricoperti di cellule mesoteliali. I ricercatori sono andati oltre e hanno provato a bloccare la produzione di fibronectina nelle cellule mesoteliali, in vitro e in modelli sperimentali animali, sia geneticamente sia attraverso frammenti di RNA interferenti (siRNA, un meccanismo attraverso il quale frammenti di RNA sono in grado di spegnere l’espressione di alcuni geni) dimostrando che è possibile ridurre l’adesione, l’invasione, la proliferazione e la metastatizzazione delle cellule di carcinoma ovarico. “Tutti questi risultati – concludono gli autori dello studio – indicano che le cellule mesoteliali associate al cancro promuovono la colonizzazione tumorale durante la fase iniziale di metastatizzazione del cancro dell’ovaio e suggeriscono che le cellule mesoteliali contribuiscano attivamente alla formazione delle metastasi”.

     

    Fonte: Quotidiano Sanità

     

     

     

     

    Maurizia Cacciatori contro il cancro ovarico

    Domenica 14 settembre a Calderara di Reno Bologna si è giocata una partita importante. “Volley del cuore” è il nome che è stato scelto per l’evento solidale con lo scopo di sensibilizzare e raccogliere fondi per la lotta contro il tumore ovarico, patologia che ogni anno colpisce 5 mila donne in Italia e 250 mila nel mondo. La partita ha visto in campo 50 ragazze under 16 che hanno giocato insieme all'ex capitano della Nazionale femminile di volley, Maurizia Cacciatori, con la maglietta Loto onlus. Si tratta di una associazione non profit il cui scopo è proprio quello di sensibilizzare su una patologia poco conosciuta e spesso dimenticata, nonostante la sua aggressività. Divulgare informazioni è il primo passo per combattere una malattia ancora trascurata sia dal punto di vista diagnostico sia terapeutico, ma con la quale molte donne devono combattere e fare i conti, troppo spesso quanto è ormai tardi. "Sono orgogliosa di partecipare a eventi come questo dove lo sport diventa volano per una causa molto seria, che colpisce in primo luogo le donne - ha detto Maurizia Cacciatori - . Il nostro motto è ‘dare la schiacciata vincente contro il tumore ovarico' e domenica è stata una buona occasione per farlo". In apertura di partita, gli interventi della presidente di Loto Onlus, Sandra Balboni  e di Claudio Zamagni, presidente comitato scientifico di Loto Onlus e direttore dell'Unità operativa oncologia medica dell'ospedale Sant'Orsola di Bologna, hanno permesso di inquadrare la malattia, metterla in primo piano, diffondendo alle donne presenti quante più informazioni possibili. Le squadre coinvolte nel torneo, patrocinato Fipav, sono state Calderara Vola Volley, Argelato, Idea Volley e Vip San Lazzaro. L'ex palleggiatrice azzurra, Maurizia Cacciatori, ha giocato a turno in ogni singola squadra. All'interno del palazzetto i volontari Loto hanno distribuito informazioni e venduto gadget come cappellini, magliette e ciondoli con simbolo di Loto, il cui ricavato andrà a sostegno della ricerca.

     

    Fonte: Superabile.it

     

     

    Che bel profilo, quel tumore

    Profilare il tumore è meglio: parola della European Society for Gynaecological Oncology (ESGO, Società Europea di Oncologia Ginecologica). Secondo quanto emerso dal meeting annuale e da dati provenienti dal registro sul carcinoma ovarico sembra che conoscere le caratteristiche genetiche del tumore dia origine a un indice di sopravvivenza più elevato nei pazienti con carcinoma delle ovaie, delle tube di Falloppio o peritoneale primario, se sottoposti al trattamento che risultava più efficace proprio in base al loro profilo. I dati raccolti hanno rivelato che i pazienti il cui trattamento è stato guidato dalla profilazione tumorale, presentavano un rischio di morte del 46% più basso (tasso di rischio = 0,54, p = 0,0018) rispetto a chi ha utilizzato farmaci non suggeriti dalla profilazione.

    Questo strumento contempla lo studio e la ricerca di una vasta gamma di "biomarcatori" tumorali (proteine, geni o altre molecole che influenzano crescita, moltiplicazione e risposta alle terapie delle cellule tumorali), dei quali se ne analizza la quantità per stabilire quale possa essere la terapia di maggior successo. I risultati consentono agli oncologi di definire i trattamenti più appropriati per ogni paziente, basandosi sulle specificità individuali del cancro e non sulla sua localizzazione.

    Il professor Hani Gabra, autore della pubblicazione dell'ESGO e direttore dell'Ovarian Cancer Action Research Centre presso l'Imperial College, ha detto: "I dati presentati quest'anno all'ESGO sono un'ulteriore conferma all'uso della profilazione tumorale completa. Tale metodica consente nuove opzioni di trattamento ai pazienti con tumori rari o difficili da trattare o a coloro per i quali non sono possibili altre opzioni di trattamento standard. Sono molto felice di registrare l'ampiezza di questa ricerca su piattaforma globale e fiducioso che la profilazione prenderà rapidamente piede nella pratica clinica europea".

     

    Fonte: ADNKRONOS

     

     

     

     

    L’importanza della diagnosi

    Il cancro alle ovaie non è tra i più frequenti, ma quando colpisce risulta tra i più fatali. Come se non bastasse sono assenti sintomi chiari e specifici e gli unici segnali sono generici: gonfiore addominale per esempio, dolore pelvico, facile senso di sazietà, esigenza continua di urinare. Questi sintomi devono capitare per circa 12 giorni al mese prima di iniziare ad allarmarsi, e devono rappresentare un cambiamento recente (di solito si presentano a meno di 1 anno prima dalla diagnosi).

    A volte il cancro alle ovaie è invece silenzioso e lo si scopre troppo tardi. Le donne che non ce la fanno sono ancora troppe. L’American Cancer Society ha stimato che nel 2010 sono state 21.880 le diagnosi di cancro delle ovaie e più di 13.850 le donne che conseguentemente non ne sarebbero guarite. 

    Tra gli esami diagnostici, il primo è sicuramente l’ecografia pelvica in grado di rilevare la presenza di masse sospette che possano far supporre la presenza di un cancro. Da questo primo screening si passa quindi all’esame dei cosiddetti markers tumorali: basta un semplice prelievo del sangue per identificare la presenza di alcune molecole collegate all’esistenza di un tumore.

    Questa fase diagnostica è quindi la più importante e delicata e permette alle donne di accedere a cure efficaci in quanto tempestive. Alcuni ricercatori giapponesi hanno annunciato la messa a punto di una tecnica che promette di diagnosticare, a partire da un semplice esame del sangue, 13 tipi di cancro a uno stadio iniziale. Tra questi 13 tumori troviamo quello a seno, stomaco, esofago, polmone, fegato, pancreas, colon, prostata, vescica e ovviamente ovaio. La tecnica allo studio si basa sulla valutazione della presenza, nel sangue, di molecole – microRna – il cui aumento segnalerebbe lo sviluppo di un tumore.

    Ci vorranno 5 anni perché il test possa essere commercializzato e forse salvare qualche vita.

     

    Fonte: Il Mattino

    Cancro e fertilità

    È sempre stata abbastanza comune e diffusa l’idea che esistesse una correlazione tra aumento del rischio di contrarre un tumore a seno, utero e ovaie e l’uso di terapie farmacologiche ormonali per la fertilità.

    In realtà grazie a uno studio su lungo termine che ha coinvolto 12 mila donne sottoposte a trattamento di stimolazione ovarica tra il 1965 e il 1988 e monitorate fino al 2010, i ricercatori americani hanno scoperto che questi trattamenti anti-infertilità non aumentano le probabilità di sviluppare un tumore del seno, dell’ovaio o dell’utero.

    Queste terapie hanno il compito di innalzare i livelli di alcuni ormoni come estradiolo e progesterone, che hanno un ruolo importante nella crescita e progressione dei tumori femminili: per questo la correlazione tra terapia anti-infertilità e cancro è sempre stata forte.

    In particolare vengono somministrati i cosiddetti stimolatori dell’ovulazione con conseguente esposizione delle donne a livelli elevati di estrogeni: era stato quindi ipotizzato che queste procedure potessero determinare un aumentato rischio di sviluppare tumori sensibili alle manipolazioni ormonali, quali quelli mammari o ginecologici. «Dalla lunga osservazione su queste donne è emerso un rischio leggermente accresciuto di cancro al seno fra le pazienti che avevano seguito 12 o più cicli di clomifene citrato, il farmaco più usato nell’induzione della ovulazione fino ai primi anni Ottanta - ha spiegato Humberto Scoccia, della University of Illinois di Chicago e fra gli autori dello studio, presentato a Monaco di Baviera durante il convegno annuale della Società Europea della Riproduzione -. Mentre le gonadotropine, oggi più comunemente impiegate nella stimolazione ovarica, non sono state associate ad alcun pericolo».

    Non si può certo concludere che questo tipo di trattamento sia comunque esente da rischi. Gli effetti collaterali ci sono, alcuni sono più evidenti, noti e puntuali, poiché coinvolgono il periodo di somministrazione: aumento di peso, vertigini, nausea, vomito, dolori addominali. Altri invece, quelli a lungo periodo e più difficilmente riconducibili al trattamento, proprio come il rischio di cancro, sono oggetto di numerose indagini. «I dati fino ad oggi disponibili sulla possibile associazione tra fecondazione in vitro e sviluppo di alcune neoplasie erano controversi - ha detto Scoccia -: alcuni studi mostrano un aumento del rischio, altri una riduzione e altri ancora nessuna correlazione. Molti studi si basavano su numeri relativamente piccoli di partecipanti e con un follow up breve, lasciando aperte molte questioni. Ma visti i molti cambiamenti intercorsi negli anni nei trattamenti contro l’infertilità e l’aumento notevole delle fecondazioni in vitro dopo la metà degli anni Ottanta, è importante che le donne continuino i controlli, soprattutto delle ovaie. In questo modo, con una diagnosi precoce, si può curare il tumore con grandi probabilità di successo». Fondamentale resta quindi il controllo costante, lo screening, la diagnosi precoce: le donne che si sono sottoposte a queste terapie sono quindi invitate a non abbassare la guardia, anche se possono forse tirare un sospiro di sollievo in più.

     

    Fonte: Corriere

     

     

     

     

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