Letti per voi: articoli sul carcinoma della cervice uterina
Esame citologico nella diagnosi del cancro alla cervice in giovani donne sintomatiche: uno studio retrospettivo
Cytology in the diagnosis of cervical cancer in symptomatic young women: a retrospective review
Anita WW Lim, Rebecca Landy, Alejandra Castanon, Antony Hollingworth, Willie Hamilton, Nick Dudding e Peter Sasieni.
British Journal of General Practice
Introduzione
Il cancro alla cervice uterina è un tumore raramente fatale nelle giovani donne sotto i 30 anni. Non essendo previsto lo screening in donne giovani di età <25 anni la diagnosi si basa sulla presenza di sintomi. Poiché i sintomi sono aspecifici e comuni mentre la malattia è rara, il cancro della cervice nelle donne giovani rappresenta una sfida diagnostica. La diagnosi tardiva continua a suscitare preoccupazioni e problemi nel trattamento della malattia.
I sintomi del cancro alla cervice uterina sono:
- Sanguinamento post-coitale
- Sanguinamento intermestruale
- Sanguinamento durante la gravidanza
- Perdite vaginali
- Irregolarità mestruali
- Dispareunia
Questi sintomi sono aspecifici e sono comuni anche in donne con infezioni genitali o che utilizzano contraccettivi ormonali.
Lo screening preventivo in UK viene effettuato alle donne sopra i 25 anni. Sotto quella soglia d’età, quindi, è importante stabilire come gestire questi sintomi, poiché le donne sono troppo giovani per sottoporsi allo screening. Nelle linee guida britanniche si suggerisce l’esame della cervice, tuttavia i tumori microinvasivi non sono visibili a occhio nudo e sono potenzialmente sintomatici ed è in questa fase iniziale che i medici vorrebbero riuscire a diagnosticare i tumori.
Lo studio si propone quindi come obiettivo di valutare l’esame citologico come ausilio diagnostico precoce nelle donne in età compresa tra i 20 e i 29 anni, sintomatiche.
Metodi
L’esame citologico è stato valutato stimando la sua sensibilità, la sua specificità e il suo valore predittivo positivo (VPP) nelle giovani donne con sintomi ginecologici rilevanti.
I dati utilizzati sono stati presi da quattro dataset:
- dati dell’assistenza sanitaria primaria e dati di screening nazionali provenienti da un studio sui tumori della cervice;
- risultati citologici dall’audit nazionale sul cancro cervicale;
- risultati citologici sull’intera popolazione provenienti dal database nazionale dello screening;
- dati dell’assistenza sanitaria primaria nella popolazione provenienti dal Clinical Practice Research Datalink (CPRD).
I dati dell’assistenza sanitaria primaria e i dati nazionali dello screening cervicale provengono da uno studio approfondito effettuato su donne di età compresa tra i 18-29 anni con il cancro del collo dell'utero diagnosticato tra novembre 2010 e marzo 2012. I dati dell’assistenza sanitaria primaria riguardano 107 donne (di 128 reclutate), mentre quelli dello screening coprono 112 donne. Nello studio, gli autori hanno definito come sintomatici i test citologici fatti a un mese dalla comparsa dei sintomi e dodici mesi prima della diagnosi.
Gli autori hanno utilizzato i risultati citologici da donne di età compresa tra 20 e 24.5 anni, con diagnosi effettuate tra il 4 novembre 2010 e luglio 2014. L’esame citologico in queste donne non è stato eseguito come screening di routine, ma come risposta a sintomi riscontrati.
I dati elettronici ottenuti dal database Clinical Practice Research Datalink provengono da più di 600 pratiche di assistenza sanitaria in UK e il campione in analisi comprende più di 45 000 donne di età compresa tra i 20 e i 29 anni in un periodo che va dal 1990 al 2010. Il database nazionale che raccoglie i risultati degli esami citologici di tutta la popolazione ha fornito dati da aprile 2007 a marzo 2010 per le donne di età compresa tra i 20 e i 29 anni.
Il valore predittivo positivo è stato misurato sulla base del primo risultato citologico (non follow-up) ottenuto nei 12 mesi precedenti alla diagnosi. Le stime dirette sono state calcolate dividendo il numero di tumori diagnosticati con un dato indice come risultato del test per il numero di esami citologici con quel risultato nella popolazione generale durante lo stesso periodo.
Il valore predittivo positivo indiretto è stato calcolato utilizzando la formula:
sensibilità x prevalenza / sensibilità x prevalenza + (1 – specificità) x (1 – prevalenza)
Risultati
La prevalenza stimata di cancro del collo dell'utero nelle donne sintomatiche si attesta tra lo 0,4% e lo 0,9%. La sensibilità nell’identificare una citologia di grado moderato o peggiore nelle donne di età compresa tra i 20 e i 29 anni varia dal 90,9% al 96,2% tra i vari set di dati, indipendentemente dalla gravità del sintomo. Il Valore Predittivo Positivo (VPP) è stato stimato essere tra il 10,0% e il 30,0%.
Per le donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni, il VPP dell’esame citologico con esito di grado moderato nel riscontrare un carcinoma cervicale è stato dell’ 1,01% e del 2,0% per un esito di grado alto o peggiore dell’esame citologico.
22 su 107 donne del database dell’assistenza primaria si sono sottoposte a un test citologico eseguito entro 1 mese dalla comparsa dei sintomi. I sintomi sono stati sanguinamento post-coitale (n = 17), sanguinamento intermestruale (n = 6), perdite vaginali (n = 7), irregolarità mestruali (n = 4), e dispareunia (n = 1). Nessuna di queste 22 donne ha avuto un referto citologico negativo.
Discussione
I risultati mostrano che l’esame citologico ha alta sensibilità (≥90.0%) per il riscontro di tumore del collo dell'utero in donne giovani con sintomi. Inoltre, nessuna delle donne sintomatiche con cancro al collo dell’utero ha ottenuto un referto negativo dell’esame citologico, il che implica che le preoccupazioni per falsi negativi dall’esame citologico sono infondate. Tuttavia, donne sintomatiche con esito citologico negativo, borderline o di grado lieve devono essere valutate per riscontrare altre possibili cause della sintomatologia. Un punto di forza di questo studio è che gli autori hanno usato risultati citologici per le giovani donne che erano sintomatiche al momento dell’esame.
L’esame citologico potrebbe contribuire a facilitare la diagnosi precoce del cancro della cervice ottimizzando il triage di giovani donne sintomatiche nelle quali la malignità è improbabile ma possibile. Questi risultati indicano che la citologia potrebbe essere un ottimo aiuto diagnostico per rilevare il cancro cervicale nelle donne giovani e sintomatiche.
Fonte: http://bjgp.org/content/early/2016/10/24/bjgp16X687937
I tumori femminili: facciamo luce su una diseguaglianza sanitaria dimenticata
Women’s cancers: shining a light on a neglected health inequity
Udani Samarasekera, Richard Horton
The Lancet, Published online November 1, 2016 http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(16)31798-6
Nei Paesi a basso e medio reddito i tumori della mammella e della cervice uterina ricevono di gran lunga meno finanziamenti, attenzioni e appoggi che nei Paesi ad alto reddito. Ciò contrasta con il fatto che le donne dei Paesi a reddito medio-basso abbiano un maggiore carico di queste patologie, minore accesso all’assistenza sanitaria, si presentino con la malattia in fase più avanzata e abbiano maggiori probabilità di morire di queste patologie rispetto alle donne dei Paesi ad alto reddito.
Le motivazioni per questa discrepanza includono la convinzione che altri problemi di salute femminile, quali la salute riproduttiva e materna, abbiano la priorità, e che i tumori femminili siano troppo complessi e costosi da trattare in certi contesti. Si tratta, tuttavia, di percezioni errate. La rivista Lancet ha deciso di dedicare uno spazio alla confutazione di questi falsi miti e di fornire una piattaforma per future azioni, focalizzandosi sui carcinomi della mammella e della cervice poiché si tratta delle due patologie tumorali femminili più frequentemente riscontrate in questi Paesi, e per le quali sono disponibili interventi di politica sanitaria fattibili e costo-efficaci.
Gli argomenti trattati includono il carico globale di queste patologie e le disuguaglianze nell’incidenza, sopravvivenza e mortalità, gli interventi che potrebbero eliminare le disparità tra Paesi a reddito alto e medio-basso, e i cambiamenti nelle politiche globali necessari per fornire cure sicure, eque e sostenibili a tutte le donne.
Nel 2012 quasi 1.7 milioni di donne hanno avuto una diagnosi di carcinoma mammario e 522.000 ne sono morte: il 52% dei casi e il 63% dei decessi erano localizzati in Paesi a reddito medio-basso.
Sulle 528.000 donne che hanno avuto una diagnosi di carcinoma cervicale e le 266.000 che ne sono morte, circa l’85% e l’87%, rispettivamente, erano in questi Paesi.
Se non si farà nulla per invertire il trend si è calcolato che il numero di nuovi casi aumenterà notevolmente entro il 2030.
Esistono interventi già esistenti o promettenti per diminuire il divario con i Paesi ricchi, ad esempio i vaccini contro il virus HPV sono un enorme passo avanti, e il fatto che non siano disponibili per tutte le ragazze è una tragedia sanitaria. I vaccini anti-HPV devono essere resi sostenibili e accessibili, e velocemente incorporati nei programmi nazionali di immunizzazione o nei programmi sanitari per l’infanzia e l’adolescenza.
È possibile fare prevenzione secondaria con metodiche alternative meno costose di quelle in uso nei Paesi ad alto reddito, ad esempio ispezione visiva con acido acetico per lo screening del carcinoma della cervice, e esame clinico della mammella. Vanno inoltre implementate campagne di sensibilizzazione per ridurre lo stigma associato al carcinoma della mammella e indurre le donne a richiedere assistenza sanitaria.
Entro il 2030 si auspica che tutte le donne con un carcinoma della mammella abbiano pari opportunità di ricevere una diagnosi con le tecniche appropriate di imaging, biopsia e anatomia patologica, e accesso tempestivo ai trattamenti potenzialmente curativi (almeno mastectomia di buona qualità e tamoxifene se positive per i recettori ormonali).
Esistono diverse iniziative globali per la salute a cui i Paesi a reddito medio-basso possono aderire per sfruttarne le opportunità.
Un aumento dei finanziamenti dedicati ai tumori femminili nei Paesi a reddito medio-basso è necessario perché si verifichi un progresso; le iniziative necessarie comprendono un riallineamento tra la quantità di risorse messe a disposizione e il carico delle patologie. Paesi che hanno affrontato con successo la sfida, come il Messico e la Tailandia, possono essere di esempio per tutti gli altri.
La speranza è che iniziative come quella del Lancet contribuiscano a cogliere le opportunità e aiutino tutte le donne ad ottenere il diritto alla prevenzione e alla cura del cancro.
Per ulteriori approfondimenti:
http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(16)31798-6/abstract
Infezione da HIV e sopravvivenza tra le donne con cancro alla cervice
HIV Infection and Survival Among Women With Cervical Cancer
Scott Dryden-Peterson, Memory Bvochora-Nsingo, Gita Suneja, Jason A. Efstathiou, Surbhi Grover, Sebathu Chiyapo, Doreen Ramogola-Masire, Malebogo Kebabonye-Pusoentsi, Rebecca Clayman, Abigail C. Mapes, Neo Tapela, Aida Asmelash, Heluf Medhin, Akila N. Viswanathan, Anthony H. Russell, Lilie L. Lin, Mukendi K.A. Kayembe, Mompati Mmalane, Thomas C. Randall, Bruce Chabner, and Shahin Lockman
JOURNAL OF CLINICAL ONCOLOGY
Obiettivo dello studio
Il carcinoma della cervice è la principale causa di morte per cancro in 20 milioni di donne HIV positive nel mondo.
Lo studio ha come obiettivo quello di determinare come l’infezione da HIV influisca sulla sopravvivenza nelle donne con un cancro cervicale invasivo.
Introduzione
Il cancro alla cervice uterina è la più diffusa causa di morte per cancro tra le donne africane, intensificata dall’epidemia da HIV. Il cancro alla cervice ha un’incidenza sei volte più alta tra le donne con infezione da HIV rispetto alla popolazione generale. Sebbene la terapia antiretrovirale per l’HIV sia in grado di ridurre la frequenza e la durata dell’infezione da papillomavirus umano (HPV) responsabile del cancro alla cervice, tuttavia l’incidenza del tumore non è diminuita di pari passo con la diffusione del trattamento per l’HIV. Con il diminuire della mortalità collegata all’infezione da HIV, il cancro alla cervice è diventato la principale causa di morte per 16 milioni di donne con HIV nel mondo. L’impatto dell’HIV nel rischio di cancro alla cervice è ben descritto ma gli effetti dell’HIV sulla sopravvivenza per cancro cervicale sono poco noti.
Metodo
Partecipanti
Sono state reclutate donne con un cancro alla cervice conclamato e invasivo, trattate in tre differenti ospedali del Botswana, di cui uno privato. I partecipanti sono stati intervistati e sono stati raccolti i dati oncologici e sull’HIV. La stadiazione è stata basata sull’esame clinico, la radiografia del torace e l’ecografia addominale. I pazienti senza dati per l’infezione da HIV o che non si erano recentemente sottoposti al test sono stati testati per l’HIV obbligatoriamente. Dopo il reclutamento i pazienti sono stati contattati ogni tre mesi.
Trattamento
Il trattamento standard per il cancro alla cervice si è mantenuto costante per tutta la durata dello studio e ha incluso EBRT da 45 a 50 Gy somministrati nella zona delle pelvi in 20-25 frazioni da un acceleratore lineare di particelle (Elekta Precise). In concomitanza è stato somministrato cisplatino (35 mg/m2) settimanalmente per 4-5 cicli durante EBRT, a meno che la velocità di filtrazione glomerulare stimata fosse 60 ml/min /1,73 m2 o ci fosse idronefrosi. Dopo il completamento con EBRT, una dose aggiuntiva da 14 a 26 Gy è stata somministrata attraverso la brachiterapia ad alto dosaggio (Elekta) in 2-4 frazioni di 5-7 Gy per frazione. Durante il periodo di studio, il valore soglia di CD4 per iniziare la terapia antiretrovirale è aumentato da 250 a 350 cellule per ml.
Analisi
Il primo obiettivo dell’analisi è stato quello di valutare l’effetto dell’infezione da HIV sulla sopravvivenza delle donne con cancro alla cervice uterina indipendentemente dallo stadio, dall’età e da altri possibili fattori confondenti. È stata usata la probabilità inversa del trattamento ponderato per sviluppare un modello Cox per simulare un trial teorico dove l’infezione cronica da HIV fosse distribuita casualmente nelle donne con cancro alla cervice. Questo framework è in grado di aggiustare i risultati per un robusto set di fattori confondenti nel contesto di un limitato numero di eventi, evitando ipotesi di relazione tra potenziali confondenti e permettendo di creare un modello dell’infezione da HIV. Le analisi sono state eseguite dopo il decesso di 110 persone per ottenere una potenza stimata dell’80% per individuare un aumento del rischio di morte del 70% tra donne con HIV. Gli studi osservazionali di follow-up sono continuati fino a Marzo 2016. Le analisi sono state eseguite con SAS 9.3 software (SAS Institute, Cary, NC). Tutti i test erano a due code e P= 0,5 è stato considerato statisticamente significativo.
Risultati
È stato reclutato un totale di 348 donne con il cancro alla cervice, incluse 231 (66.4%) con HIV e 96 (27.6%) senza HIV. La maggior parte (189 [81.8%]) delle donne con HIV ha ricevuto la terapia antiretrovirale prima della diagnosi di cancro. La conta mediana di CD4 per le donne con HIV era 397. Dopo un follow-up di 19.7 mesi, 117 (50.7%) donne con HIV e 40 (41.7%) senza HIV sono morte. Un decesso è stato attribuito all’HIV, mentre i restanti al cancro. La sopravvivenza a tre anni delle donne con HIV è stata del 35%, di quelle senza HIV del 48%. Nell’analisi rettificata, l’infezione da HIV aumenta significativamente il rischio di morte tra tutte le donne e nel sottoinsieme che ha ricevuto un trattamento curativo in accordo alle linee guida. L’effetto negativo dell’HIV sulla sopravvivenza è stato maggiore per le donne con un cancro a uno stadio più localizzato e in quelle con una bassa conta di CD4. Lo stadio avanzato del tumore e uno scarso completamento del trattamento hanno contribuito ad innalzare la mortalità generale.
Discussione
In questo studio prospettivo di donne con il cancro alla cervice in Botswana, l’infezione da HIV raddoppia il rischio di morte. L’aumento di rischio per le donne con l’infezione da HIV è maggiore per quelle ai primi stadi del cancro, sebbene la sopravvivenza fosse più bassa in tutti i casi associati all’infezione da HIV a esclusione di quelle con il cancro al IV stadio. Con l’eccezione di un solo decesso attribuito all’HIV, tutti gli altri sono stati attribuiti al cancro. Completare il trattamento è stata una sfida per tutti i partecipanti: un terzo di quelli trattati con intento curativo ha ricevuto una dose di radiazioni minore rispetto a quella prevista dalle norme internazionali.
Si pensa che l’HIV aumenti l’incidenza del cancro alla cervice primariamente attraverso un aumentato rischio di sviluppare le lesioni precancerose iniziali attraverso una clearance compromessa delle infezioni da HPV. Tuttavia questi meccanismi non sembrano agire sulla sopravvivenza dopo che il cancro si è sviluppato. In conclusione, in una situazione in cui si ha un buon accesso e un buon uso della terapia antiretrovirale, l’infezione da HIV raddoppia, comunque, il rischio di morte tra le donne con cancro alla cervice che ricevono una terapia curativa concordata secondo le linee guida. La mortalità dovuta a infezioni associate all’HIV sembra contribuire poco all’aumento nel rischio di morte; piuttosto, la progressione oncologica precoce tra le donne con HIV sembra spiegare l’eccesso di mortalità.
Migliori approcci terapeutici per le donne con cancro cervicale associato all'HIV sono urgenti e necessari per affrontare il cancro cervicale nell’Africa subsahariana e in altre regioni povere.
Medicina di precisione in oncologia: sfide e raccomandazioni da uno studio di biobanca finanziato dall’Unione Europea
Precision medicine in cancer: challenges and recommendations from an EU-funded cervical cancer biobanking study
Sanne Samuels, Balazs Balint, Heiko von der Leyen, Philippe Hupe´, Leanne de Koning, Choumouss Kamoun, Windy Luscap-Rondof, Ulrike Wittkop, Ksenia Bagrintseva, Marina Popovic, Atttila Kereszt, Els Berns, Gemma G Kenter, Ekaterina S Jordanova, Maud Kamal and Susy Scholl
British Journal of Cancer (2016), 1–9
Il carcinoma della cervice rimane la quarta causa di morte da cancro globale nelle donne, e negli ultimi decenni non ci sono state innovazioni terapeutiche notevoli. Sono tuttavia in corso molti studi sulla medicina di precisione standard e test di algoritmi in tumori in stadio avanzato. Questi ultimi richiedono procedure di biobanca ben definite per la conservazione di campioni di tessuto tumorale, sangue, siero e per la raccolta dei campioni ematici, come prerequisito per analisi molecolari precise e riproducibili.
Lo studio si è focalizzato sul carcinoma della cervice (CC), patologia per la quale è semplice ottenere biopsie. Gli studi molecolari del CC sono rilevanti per valutare la patogenesi come processo dinamico multistep che include continua diversificazione genetica, espansione e selezione clonale. Le alterazioni geniche essenziali nel CC sono praticamente sempre iniziate dall’inserzione nel genoma di HPV, che porta all’attivazione di oncogeni o all’inattivazione di geni oncosoppressori.
Nel CC sono noti pattern differenziali di mutazione e espressione genica, tuttavia non sono ancora stati studiati sistematicamente trattamenti differenziali basati su stratificazioni molecolari.
BIO-RAIDs è uno studio prospettico di pazienti con CC non precedentemente trattato, in stadio da IB1 a IV, condotto in 7 Paesi europei per analizzare i tumori primari a livello molecolare in rapporto agli outcome dei pazienti, allo scopo di stratificare i tumori in classi basate sull’attivazione di pathway e sulla prognosi.
Analisi bioinformatiche precedenti suggeriscono che il CC sia stratificabile in 5 classi con caratteristiche molecolari distinte. L’articolo, scritto quando lo studio aveva reclutato 400 pazienti, descrive le sfide per studi di questo tipo che sono state identificate durante la costituzione di questa biobanca e fornisce raccomandazioni per condurre futuri studi simili. Le principali difficoltà incontrate hanno riguardato la diversità degli standard etici e legali tra diversi Paesi, la mancanza di risorse per gli studi clinici in alcuni centri, la mancanza di esperienza sulle biobanche in molti centri e la complessità di integrare dati molecolari da molti campioni.
Una delle difficoltà è stata la diversa percezione del protocollo di studio da parte di diversi Paesi: in alcuni è stato considerato uno studio interventistico per la richiesta di eseguire biopsie e prelievi di sangue, in altri come non-interventistico poiché non influiva sulle procedure standard di trattamento.
In alcuni Paesi è stato necessario attivare un’assicurazione per lo studio, con costi estremamente variabili tra i diversi paesi.
Le tempistiche per la negoziazione dei contratti sono dipese soprattutto dai tempi di approvazione da parte dei comitati di direzione dei vari enti.
Raccomandazioni per velocizzare l’inizio degli studi clinici:
Linee guida Europee più chiare e una legislazione comune aiuterebbero futuri studi prospettici “senza farmaco sperimentale”. Direttive simili alla EU 536/2014, che fornisce i requisiti regolatori per gli studi a basso livello di intervento, sono urgentemente necessarie per studi di biobanca, che hanno rischio aggiuntivo nullo o minimo per i pazienti. La raccolta e la conservazione di campioni biologici sono procedure di routine in ospedali qualificati e i costi dovrebbero idealmente essere coperti dagli istituti.
La necessità di un’assicurazione per gli studi di biobanca sulle terapie a bersaglio molecolare andrebbe riesaminata. Una normativa europea standard per i contratti tra le parti coinvolte negli studi clinici sarebbe vantaggiosa, come pure l’autonomia amministrativa delle strutture che si occupano di studi clinici all’interno dei centri.
Il conferimento dei campioni ad una biobanca è una procedura relativamente nuova per molti centri, e richiede tempo per essere implementato e reso efficiente. Altre difficoltà logistiche emerse dallo studio BIO-RAIDs hanno riguardato la disponibilità di personale esperto, l’accesso all’azoto liquido, la logistica dei campioni, diversi livelli di esperienza nella conduzione di studi clinici, disponibilità di metodiche di imaging necessarie per la stadiazione.
Raccomandazioni per il miglioramento della logistica
Le indagini sulla fattività degli studi dovrebbero tenere conto anche della presenza di personale dedicato ed esperto. In sua assenza, i centri dovrebbero essere esclusi dagli studi. Il Principal Investigator e un suo collaboratore dovrebbero essere coinvolti negli studi fin dall’inizio, e in centri poco esperti nelle biobanche dovrebbe essere inviato personale esperto per assistere il centro nella fase di implementazione e per fornire gli strumenti necessari. Un sistema di rating dei centri per la ricerca clinica sullo stile di Trip Advisor potrebbe velocizzare la fase di selezione.
Raccolta e monitoraggio dei dati
Quasi tutti i dati sui fattori prognostici per il CC sono stati ottenuti retrospettivamente, spesso da piccole popolazioni di pazienti. La necessità di valutare prospetticamente la prognosi in parallelo a dati sullo stile di vita e gli esiti clinici ha portato a sviluppare una CRF elettronica troppo laboriosa da compilare e confrontare con le fonti originali dei dati.
Il grande numero di campioni da prelevare, etichettare e spedire al laboratorio centralizzato ha fatto sì che si verificassero alcuni errori umani di etichettatura, che sono stati laboriosi e dispendiosi da correggere.
I codici identificativi dei campioni, una volta importati in diversi software, venivano modificati provocando una corruzione dei dati che ha poi richiesto un lavoro di controllo.
Raccomandazione per il campionamento tempestivo e per il controllo della logistica dei campioni e dei dati
I campioni prelevati da ogni paziente dovrebbero essere immediatamente inviati a una biobanca centrale accreditata, che esegua i controlli e mandi immediato feedback sulla qualità di ogni campione. Il costo di questa procedura deve essere valutato attentamente. I dati raccolti devono limitarsi a quelli utili per gli obiettivi dello studio. I dati devono essere raccolti in tempo reale utilizzando una eCRF semplice per l’utilizzatore. Accuratezza, completezza e coerenza dei dati devono essere assicurati attraverso i controlli interni della CRF.
Raccolta ottimale dei campioni e scelta delle metodiche molecolari
I carcinomi della cervice sono più accessibili rispetto ad altre forme tumorali, ma va tenuto a mente che una biopsia non è rappresentativa dell’eterogeneità dell’intera lesione. Va verificato centralmente che il tessuto prelevato contenga un adeguato numero di cellule tumorali. Per la valutazione delle alterazioni di DNA, RNA e proteine nel cancro sono disponibili molte metodiche. L’obiettivo è di utilizzare metodiche validate che diano risultati riproducibili, su cui basare raccomandazioni per il trattamento. Per lo studio sono state utilizzate tecniche di next generation sequencing (NGS), reverse-phase protein arrays (RPPAs), e immunoistochimica (IHC). Inoltre sono stati valutati i livelli di DNA libero circolante, alcune mutazioni dedicate e i punti di inserzione di HPV. Le tecniche per questo tipo di analisi sono in costante evoluzione ed è probabile che cambino durante uno studio della durata di alcuni anni.
Gli studi di proteomica servono ad evidenziare la rilevanza funzionale delle mutazioni rilevate dall’analisi del genoma, e l’IHC fornisce una visione dell’eterogeneità intra-tumorale ed è cruciale per confermare le alterazioni genomiche identificate. Inoltre è utile per studiare le interazioni tra le cellule tumorali e il sistema immunitario.
Raccomandazioni per la raccolta dei campioni e le tecniche molecolari
Le tecniche analitiche vanno scelte in funzione dei campioni disponibili (tessuto fresco, congelato o fissato, sangue, plasma). Le analisi molecolari utilizzate per prendere decisioni sui trattamenti sono soggette a requisiti di legge così che siano riproducibili, sensibili e specifiche. Pertanto le piattaforme per l’analisi molecolare devono essere validate. Idealmente tutte le analisi vanno effettuate con la stessa versione di ogni kit per eliminare bias tecnici.
Il monitoraggio del DNA libero circolante potrebbe identificare l’insorgere di mutazioni di resistenza prima che vi sia una progressione visibile di malattia.
Per un’analisi affidabile delle modificazioni proteiche le biopsie devono essere immediatamente congelate in azoto liquido.
Per l’IHC lo sviluppo di SOP tecniche, l’utilizzo di anticorpi validati e soprattutto di sistemi semiautomatici consentiranno valutazioni di patologia quantitativa.
Sfide per il controllo di qualità, l’integrazione e l’analisi dei dati
I rapidi avanzamenti tecnologici consentono oggi di raccogliere enormi quantità di dati, ma strumenti bioinformatici affidabili e riproducibili per l’analisi e l’interpretazione dei dati sono ancora in fase di sviluppo.
Bioinformatica per l’analisi dei dati e raccomandazioni per la futura architettura di dati clinici
Strumenti informatici e architetture bioinformatiche efficienti sono necessari per supportare la medicina di precisione e registrare, analizzare e gestire tutte le informazioni prodotte. Deve anche essere possibile recuperare facilmente i dati tramite queries. La bioinformatica è un importante collo di bottiglia per l’applicazione della medicina di precisione.
Conclusioni
Nell’era della medicina di precisione il numero di studi di biobanca è in aumento e pone problemi specifici. Lo studio BIO-RAIDs ha identificato una serie di sfide associate agli aspetti pratici di questi studi; per rispondere a queste sfide è richiesta un’aumentata cooperazione e una standardizzazione di pratiche regolatorie in Europa. C’è necessità di corsi di apprendimento sulle migliori pratiche di tipo tecnico per le biobanche e sui controlli di qualità. Dall’altra parte, i medici e le aziende farmaceutiche necessitano di comprendere meglio le capacità tecniche e analitiche necessarie per migliorare le decisioni nel campo della medicina di precisione. Gli studi in corso aiuteranno a identificare farmaci e combinazioni di farmaci a bersaglio molecolare per il beneficio dei pazienti. Oltre agli aspetti tecnici e di ricerca, un fattore chiave è la sensibilità dei pazienti: uno studio recente mostra che i pazienti sono disponibili a donare campioni di tessuto se correttamente informati dell’importanza della ricerca basata su di essi.
Per ulteriori approfondimenti: http://www.nature.com/bjc/journal/v115/n12/full/bjc2016340a.html
Vaccino anti-HPV e autoimmunità: revisione delle evidenze
The HPV Vaccine and Autoimmunity: Reviewing the Research
Paul Offit
http://www.medscape.com/viewarticle/868825
Negli Stati Uniti l’utilizzo del vaccino anti-HPV è stato raccomandato dall’agenzia CDC (Centers for Disease Control) nel 2006 per le ragazze tra gli 11 e i 13 anni di età, e successivamente (2010) la raccomandazione è stata estesa ai ragazzi.
Prima della registrazione la sicurezza del vaccino HPV è stata studiata per 7 anni su 30.000 pazienti, e dopo la registrazione sia in studi clinici di fase IV che dal Vaccine Safety Datalink in più di 1 milione di persone, senza evidenza che il vaccino causasse affaticamento cronico o fibromialgia. Quando questi sintomi vengono rilevati, si presentano con la stessa frequenza sia nella popolazione vaccinata che non vaccinata.
Nel mondo sono state distribuite più di 200 milioni di dosi di vaccino anti-HPV, e poiché milioni di persone sono state vaccinate in rari casi sono stati registrati, sintomi quali ictus, anafilassi, malattie autoimmuni, tromboembolismo venoso, problemi in gravidanza, dopo la somministrazione del vaccino.
Fra i report che descrivono questi eventi avversi si annovera una recente pubblicazione italiana, in cui è presentata un piccola serie di 18 casi di ragazze che dopo aver ricevuto il vaccino (bivalente o quadrivalente) hanno sviluppato un vasto spettro di reazioni avverse di diversa natura, con sintomi generici, neurologici o psichiatrici e con insorgenza a un numero di giorni variabile dalla somministrazione del vaccino, sia durante che al termine del ciclo di somministrazioni (Palmieri et al, Immunol Res 2016).
Per determinare se eventi avversi come quelli descritti fossero correlati causalmente al vaccino sono stati intrapresi diversi studi, che hanno osservato popolazioni molto vaste, sottoposte o non sottoposte alla vaccinazione HPV.
- Nel 2011 Chao et al. hanno pubblicato uno studio del Kaiser Permanente Vaccine Study Center di Oakland, California, condotto su 189.629 donne di tutte le età che avevano ricevuto almeno una dose del vaccino quadrivalente tra il 2006 e il 2008. L’incidenza di malattie autoimmuni in queste donne era stata confrontata con quella in donne non vaccinate, e non si era trovata alcuna differenza significativa nell’incidenza di svariate malattie autoimmuni (trombocitopenia immune, anemia emolitica autoimmune, lupus sistemico eritematoso, artrite reumatoide, artrite reumatoide giovanile, diabete di tipo 1, tiroidite di Hashimoto, malattia di Graves, sclerosi multipla, encefalomielite acuta disseminata, sindrome di Guillain-Barré, neuromielite ottica, neurite ottica, uveite) tra il gruppo vaccinato e il gruppo non vaccinato.
- Nel 2013 Arnheim-Dahlström et al., del dipartimento di epidemiologia medica e biostatistica del Karolinska Institutet in Svezia e dello Statens Serum Institut in Danimarca, hanno valutato prospetticamente 997.585 ragazze di età tra i 10 e i 17 anni, delle quali 296.826 avevano ricevuto il vaccino quadrivalente; anche in questo studio non si sono rilevate differenze significative tra le ragazze vaccinate e quelle non vaccinate nell’incidenza di malattie autoimmuni della tiroide, gastrointestinali, muscolo-scheletriche, sistemiche, ematologiche, dermatologiche o neurologiche.
- Nel 2014, Grimaldi-Bensouda dell’Institut Pasteur, in collaborazione con sperimentatori di 113 centri medici da tutta Europa, ha condotto uno studio caso-controllo confrontando 211 casi di malattie autoimmuni in ragazze di 14-26 anni con 875 controlli. Anche in questo studio non si sono trovate evidenze di un aumentato rischio di sviluppare porpora trombocitopenica idiopatica, sclerosi multipla, sindrome di Guillain-Barré, disordini dei tessuti connettivi (lupus sistemico eritematoso, artrite reumatoide o artrite giovanile), diabete di tipo 1 o tiroidite autoimmune dopo la vaccinazione con il vaccino quadrivalente.
- Nel 2015, Vichnin ed altri sperimentatori di Stati Uniti ed Europa hanno valutato i dati di sicurezza del vaccino nonavalente, raccolti in 15 studi che hanno globalmente incluso più di 1 milione di pazienti di diverse età. Anche in questo caso non si sono rilevate differenze nell’incidenza di malattie autoimmuni in questa popolazione vaccinata rispetto alla popolazione generale.
Fino ad oggi, nessuna evidenza che i vaccini anti-HPV inducano malattie autoimmuni corrisponde ai 4 criteri operativi necessari per dimostrare una relazione causale. I 4 criteri sono i seguenti:
- Deve essere dimostrato che una o più delle proteine L1 che compongono il virus HPV abbia una struttura simile ad un antigene self, e che siano presenti in circolo cellule T o B dirette contro quell’antigene self.
- Gli antigeni self devono essere presenti in quantitativi tali da elicitare una risposta autoimmune. Il vaccino HPV quadrivalente contiene rispettivamente 20 μg, 40 μg, 40 μg, e 20 μg delle proteine L1 dei sietoripi HPV 6, 11, 16 e 18. È improbabile che questi quantitativi siano sufficienti a provocare l’autoimmunità.
- Per elicitare risposte autoimmuni devono essere presenti anche segnali costimolatori, citochine e altri segnali di attivazione prodotti da cellule presentanti l’antigene come le cellule dendritiche. Sebbene virus e batteri vivi siano in grado di elicitare tali risposte a livelli sufficientemente alti da provocare autoimmunità, virus inattivati e proteine purificate non possono attivare risposte sufficientemente forti, almeno non in assenza di un adiuvante molto potente, come squalene o emulsioni di olio in acqua.
- Devono fallire i meccanismi periferici di tolleranza, che l’organismo utilizza fin dalla nascita per prevenire le risposte autoimmuni. Non si è mai trovata evidenza di fallimento del meccanismo di tolleranza con i vaccini HPV.
In conclusione, numerosi studi ben controllati e condotti su popolazioni molto ampie non hanno dimostrato correlazione tra vaccini anti-HPV e malattie autoimmuni.
Esiste il rischio che notizie basate su piccole serie di casi o che non dimostrano l’esistenza di un nesso causale con il vaccino HPV, una volta portate all’attenzione della popolazione generale inducano preoccupazione e spingano a evitare la vaccinazione, e oggi negli USA solo il 40% delle ragazze e il 21% dei ragazzi riceve il vaccino.
Ogni anno nei soli Stati Uniti il vaccino nonavalente sarebbe in grado di prevenire circa 29.000 casi di cancro (di cui 2/3 nelle ragazze e 1/3 nei ragazzi) e 4800 morti, perciò se solo il 40% delle ragazze e il 21% dei ragazzi si vaccinano possiamo presumere che circa 2000 bambini ogni anno diventeranno adulti che muoiono inutilmente a causa di questo virus.
È importante continuare a spiegare che i vaccini anti HPV prevengono il cancro, e sono ancora sottoutilizzati.
Per ulteriori approfondimenti:
http://www.medscape.com/viewarticle/868825
Dieci anni di protezione sicura dal cancro: il vaccino anti-HPV.
Ten Years of Safe Protection From Cancer: The HPV Vaccine
Sandra Fryhofer
Medscape Internal Medicine > Medicine Matters| July 08, 2016
Il vaccino contro i ceppi di HPV più frequentemente legati all’insorgenza di carcinomi della cervice ha recentemente compiuto 10 anni. Negli Stati Uniti, infatti, il primo vaccino per il carcinoma della cervice ha ottenuto l’autorizzazione FDA nel giugno del 2006.
In quel periodo, la AICP (Advisory Committee on Immunization Practices) si espresse a favore dell’utilizzo del vaccino, somministrato in tre dosi, per tutte le giovani donne di età compresa tra 9 e 26 anni.
Da allora abbiamo un’arma in più nella lotta contro il carcinoma della cervice. A distanza di 10 anni, ben 80 milioni di dosi del vaccino sono state somministrate nei soli Stati Uniti.
La sicurezza di tutti i vaccini anti HPV disponibili è stata attentamente studiata in numerosi trial clinici: almeno 29.000 pazienti, sia di sesso femminile che maschile, sono stati arruolati negli studi clinici per il vaccino anti-HPV tetravalente, e oltre 15.000 negli studi per il vaccino 9-valente.
Dopo l’autorizzazione all’utilizzo, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno continuato a monitorare la sicurezza dei vaccini anti-HPV attraverso tre diversi sistemi: il “Vaccine Adverse Event Reporting System” (VAERS); il “Vaccine Safety Datalink” (VSD); e il “Clinical Immunization Safety Assessment Network” (CISA).
Ogni evento avverso riportato attraverso questi sistemi viene accuratamente indagato, e la sicurezza dei vaccini viene ridiscussa ad ogni riunione dell’ACIP.
Poiché si tratta di vaccini somministrati per via iniettiva, gli eventi avversi più frequentemente riportati sono quelli tipicamente correlati alle iniezioni: dolore, gonfiore e rossore al sito di iniezione. Altri eventi avversi riportati includono svenimenti, vertigini, mal di testa e nausea; per questo motivo, le istruzioni per i medici che somministrano il vaccino sono state aggiornate, e contengono ora informazioni sulla prevenzione delle cadute dovute ad un possibile svenimento dopo la somministrazione.
Non tutto quello che avviene dopo aver ricevuto una dose di vaccino è necessariamente correlato al vaccino stesso, per questo motivo i segnali e gli schemi raccolti dai CDC nei pazienti vaccinati vengono confrontati con quanto avviene nella popolazione generale.
Attraverso queste procedure, i CDC non hanno rilevato alcun legame tra la somministrazione del vaccino anti-HPV e casi di insufficienza ovarica o sindrome di Guillain-Barré.
Dall’altra parte dell’oceano, la European Medicines Agency (EMA) non ha rilevato alcun nesso tra i vaccini anti-HPV e la sindrome della tachicardia posturale ortostatica (PoTS) o la sindrome da dolore regionale complesso (CRPS), un raro disturbo caratterizzato da dolori persistenti. Anche il VAERS ha analizzato report di eventi avversi di questo tipo, senza trovare dubbi sulla sicurezza del vaccino.
Avendo dunque tutti i dati per ritenere il vaccino anti-HPV efficace e sicuro, possiamo augurargli buon compleanno, ringraziarlo per i 10 anni di protezione che ha già consentito, e augurarne molti altri in futuro.
Il video-editoriale della Dr.ssa Sandra Fryhofer può essere visionato qui: http://www.medscape.com/viewarticle/865568
Prevalenza di HPV dopo l’introduzione del programma vaccinale negli Stati Uniti.
Prevalence of HPV After Introduction of the Vaccination program in the United States
Lauri E. Markowitz, MD, Gui Liu, MPH, Susan Hariri, PhD, Martin Steinau, PhD,
Eileen F. Dunne, MD, MPH, Elizabeth R. Unger, MD
PEDIATRICS Volume 137 , number 3 , March 2016
Negli Stati Uniti, la vaccinazione contro il papillomavirus umano (HPV) è raccomandata dal 2006, per le ragazze da 11 a 12 anni (e fino a 26 se non precedentemente vaccinate), e dal 2011 anche per i ragazzi (da 11 a 12 anni e fino a 21 se non precedentemente vaccinati).
Sono disponibili negli USA tre tipi di vaccino anti-HPV, la cui efficacia è stata dimostrata clinicamente: vaccino bivalente (diretto verso HPV 16 e 18), quadrivalente (verso HPV 6, 11, 16 e 18) e, a partire dal 2014, un nuovo vaccino nonavalente (verso HPV 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, 58); fino al 2014 il vaccino più utilizzato negli USA è stato il quadrivalente.
Il tasso di vaccinazione, sebbene in costante crescita, è ancora basso: una indagine condotta nel 2013 ha rilevato che tra le ragazze di età 14-17 anni il 57% aveva ricevuto almeno 1 dose di vaccino, e solo il 38% le 3 dosi prescritte.
Lo studio qui descritto ha analizzato i dati raccolti attraverso il programma NHANES (National Health And Nutrition Examination Survey) nel periodo 2009-2012 sulla prevalenza delle infezioni da diversi ceppi di HPV, e li ha confrontati con i dati di prevalenza rilevati in epoca pre-vaccinale. Lo studio ha indagato anche l’efficacia dei vaccini, valutando il rapporto tra prevalenza delle infezioni e utilizzo dei vaccini,e la possibile cross-protezione verso i ceppi che non sono bersaglio dal vaccino quadrivalente. Il programma NHANES consiste in una serie di indagini a campionamento trasversale (“cross-sectional”), disegnate in modo da essere rappresentative della popolazione degli Stati Uniti.
Lo studio ha analizzato i dati dei periodi 2003-2006 (pre-vaccini anti HPV) e 2009-2012, relativi a donne di età 14-34 anni per le quali erano disponibili le analisi di HPV-DNA. Il campione analizzato è stato suddiviso per gruppi di età di 5 anni, quelli su cui la vaccinazione anti-HPV poteva aver avuto un impatto (14-19, 20-24, 25-29 anni) e il gruppo immediatamente successivo per età (30-34 anni).
La tabella descrive, nei campioni nel tempo pre e post vaccinale, il tasso di vaccinazione (almeno 1 dose o 3 dosi di vaccino) per gruppo di età, insieme alle abitudini sessuali. Nel periodo pre vaccinale i dati sulle abitudini sessuali del gruppo 14-17 anni non sono stati raccolti prima del 2005.
Nel gruppo di età 14-19 anni è stata rilevata una diminuzione significativa nel tasso di infezione da HPV dei ceppi contro cui è diretto il vaccino quadrivalente (da 11.5% a 4.3%), così come per HPV 16 e 18 (ceppi contro cui è diretto il vaccino bivalente, da 7.1% a 2.8%), tra il periodo pre-vaccini e il 2009-2012. La diminuzione della prevalenza di HPV è significativa anche nel gruppo di età 20-24, e non lo è per quello successivo.
Per i ceppi di HPV che non sono bersaglio dei vaccini bivalente e quadrivalente, invece, non si sono osservate differenze significative in nessuna fascia di età.
L’analisi della prevalenza di HPV (totale e in base alla storia vaccinale) limitata alle ragazze sessualmente attive di 14-24 anni, pre- e post-era vaccinale, ha rivelato che il tasso di infezione da qualsiasi ceppo di HPV non era statisticamente diverso tra i due periodi, mentre calava significativamente in era post-vaccinale il tasso di infezione dai ceppi bersaglio del vaccino quadrivalente, sia nella popolazione generale che in quella vaccinata. Nel sottogruppo di ragazze non vaccinate, invece, non c’era differenza significativa nel tasso di infezioni pre- e post- vaccini per i ceppi bersaglio del quadrivalente.
La prevalenza dei ceppi HPV bersaglio del vaccino quadrivalente era 2.1% nelle ragazze vaccinate e 16.9% nelle non vaccinate, il che corrisponde ad una efficacia vaccinale dell’89%.
In conclusione, questo studio sulla prevalenza di HPV ha rilevato che negli USA la prevalenza dei ceppi di HPV che sono bersaglio del vaccino quadrivalente è diminuita del 64% nelle ragazze di 14-19 anni e del 34% in quelle di 20-24 anni, dopo l’introduzione dei vaccini anti-HPV (anni 2003-2006 vs 2009-2012). Il maggiore declino della prevalenza di HPV nelle ragazze più giovani corrisponde al più alto tasso di vaccinazione in questo gruppo di età.
Non si sono rilevati cambiamenti significativi del tasso di infezione all’interno degli altri gruppi di età analizzati.
I dati di questo studio non consentono di trarre conclusioni relative ad una possibile immunità di popolazione, tuttavia questa è stata osservata, sia per la comparsa di condilomi genitali che per il tasso di infezione da HPV bersaglio del vaccino quadrivalente, nei Paesi in cui la copertura vaccinale è più estesa.
È stata analizzata anche la prevalenza di 3 ceppi HPV per i quali c’è qualche evidenza di una cross-protezione da parte del vaccino quadrivalente, HPV 31, 33, 45. Per questi tre ulteriori ceppi non si è osservata una riduzione significativa nel periodo post-vaccini in nessun gruppo di età; negli studi clinici precedenti all’approvazione dei vaccini, si era osservata più frequentemente cross-protezione con il vaccino bivalente che con il quadrivalente. In Inghilterra e Scozia, dove è prevalentemente utilizzato il vaccino bivalente, è stato osservato un declino non solo di HPV 16 e 18, ma anche dei ceppi correlati; in Australia, dove è prevalentemente in uso il vaccino quadrivalente, la prevalenza dei ceppi HPV 6, 11, 16 e 18 è calata (nelle donne dai 18 ai 24 anni) dal 37.6% al 6.5%, mentre non si è osservato un cambiamento significativo per HPV 31, 33, 45 tra l’epoca pre-vaccinale e quella dei vaccini.
Le analisi sui dati del progetto NHANES proseguiranno nei prossimi anni, anche se l’introduzione del vaccino nonavalente potrebbe complicarne l’interpretazione. I dati sui 5 ulteriori ceppi HPV contro cui è diretto il nuovo vaccino sono già stati raccolti, per avere la situazione di partenza come termine di paragone. Questi ulteriori ceppi causano in totale circa il 15% dei carcinomi della cervice uterina, contro il 66% causato dai soli ceppi 16 e 18.
Questo studio, basato sui dati NAHNES, ha alcuni limiti: la storia vaccinale è stata riportata nei questionari dalle donne intervistate; in diverse aree degli Stati Uniti la copertura vaccinale anti-HPV è molto variabile, ma i dati raccolti non permettono di stimare la prevalenza delle infezioni stato per stato; a partire dal 2007 la popolazione reclutata per il progetto NHANES non è stata arricchita di adolescenti, che quindi costituiscono un campione troppo esiguo per alcune delle analisi.
Il continuo monitoraggio attraverso i dati del NHANES consentirà di studiare le dinamiche dei tassi di infezione da diversi ceppi di HPV.
I dati confermano le precedenti osservazioni di un rapido impatto dell’introduzione della vaccinazione anti-HPV negli Stati Uniti: il declino dei tipi virali che sono il bersaglio del vaccino quadrivalente è stato più rapido di quanto atteso in base all’attuale copertura con le 3 dosi complete. Questo dato potrebbe spiegarsi con una immunità di popolazione o con una efficacia superiore all’atteso di una serie non completa delle tre dosi (per la quale vi sono già altre evidenze).
Questi dati si sommano a quelli provenienti da altri Paesi, nei quali la copertura vaccinale anti-HPV è più alta che negli Stati Uniti, e contribuiscono all’insieme dei dati sull’efficacia di questa vaccinazione, e sull’impatto delle variazioni delle politiche vaccinali e dell’aumento della copertura.
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Efficacia del vaccino quadrivalente anti HPV contro infezioni e malattie da HPV nella popolazione maschile
Efficacy of Quadrivalent HPV Vaccine against HPV Infection and Disease in Males
Anna R. Giuliano et al N Engl J Med 2011;364:401-11.
Il papillomavirus umano (HPV) infetta l’epitelio squamoso in entrambi i sessi causando la comparsa di condilomi e, nei maschi, di cancro del pene, dell’ano e dell’orofaringe.
Il vaccino quadrivalente anti HPV è attivo contro HPV di tipo 6, 11, 16 e 18 ed è efficace nel prevenire l’infezione persistente e le malattie genitali causate da questi sottotipi virali nella popolazione femminile. Lo studio si propone di valutare l’efficacia del vaccino contro infezioni anogenitali e lesioni ai genitali esterni associate a HPV di tipo 6, 11, 16 e 18 in giovani uomini di età compresa tra 16 e 26 anni.
Disegno e risultati dello studio
Lo studio ha arruolato 4065 uomini; 2032 sono stati randomizzati al braccio che ha ricevuto il vaccino e 2033 a quello trattato con placebo.
Obiettivo primario dello studio era dimostrare che il vaccino quadrivalente anti HPV riduce l’incidenza di lesioni genitali esterne associate a HPV 6, 11, 16, 18 rispetto al placebo.
Gli obiettivi secondari includevano la riduzione dell’incidenza di infezioni persistenti (definite come le rilevazioni dello stesso ceppo di HPV (6, 11, 16, o 18) in campioni prelevati in due o più visite consecutive, con un intervallo di almeno 6 mesi (±1 mese) tra le visite), e dello sviluppo di lesioni genitali esterne correlate a qualunque tipo di HPV.
La sieroconversione per HPV 6, 11, 16 e 18 è avvenuta entro 1 mese dalla somministrazione della terza dose di vaccino in almeno il 97.4% dei soggetti vaccinati.
Tra i soggetti che erano inizialmente sieronegativi per tutti i 4 tipi di HPV (991 soggetti nel braccio vaccinato), il 97.5% ha avuto sieroconversione per i 4 tipi di HPV, l’1.5% per 3 tipi su 4 e 9 soggetti (0.9%) non ha avuto sieroconversione.
La popolazione per-protocollo era definita come i soggetti che al giorno 1 dello studio non mostravano lesioni genitali, erano sieronegativi e PCR-negativi per i 4 tipi di HPV, hanno ricevuto le 3 dosi di vaccino entro 1 anno, si sono presentati ad almeno 1 visita di follow-up dopo il mese 7 e non sono stati coinvolti in violazioni del protocollo. In questa popolazione l’efficacia del vaccino quadrivalente valutata sulla comparsa di lesioni genitali è stata dell’83.8% (IC 95% 61.2-94.4). L’efficacia contro lesioni genitali associate ad HPV di tipo 6, 11, 16, o 18 è stata del 90.4% (IC 95% CI 69.2-98.1). L’efficacia osservata era indipendente dalle caratteristiche al basale.
L’efficacia contro le lesioni genitali esterne era del 92.4% nei soggetti eterosessuali e del 79.0% nei soggetti che avevano anche partner sessuali maschili, ed era statisticamente significativa solo negli eterosessuali. La maggior parte delle lesioni osservate erano associate ad HPV di tipo 6 e 11 (efficacia vaccinale dell’84.3% - IC 95% 46.5-97.0 e 90.9%- IC 95% 37.7-99.8, rispettivamente), mentre nessuna lesione da HPV 16 o 18 è stata osservata nel gruppo vaccinato.
Nella popolazione ITT (Intention-to-Treat, comprendente soggetti che avevano ricevuto almeno 1 dose di vaccino o placebo e che sono tornati per il follow-up), l’efficacia vaccinale contro le lesioni genitali esterne è risultata del 60.2% (IC 95% 40.8-73.8) e quella contro le lesioni da HPV-6, 11, 16, o 18 del 65.5% (IC 95% 45.8-78.6); la diminuzione del numero di lesioni era significativa per HPV-6 eHPV-11, e non significativa per HPV-16 e HPV-18.
Nella popolazione per-protocollo si è osservata anche una riduzione globale dell’85.6% (IC 97.5% 73.4-92.9) delle infezioni persistenti da HPV, inoltre il vaccino era efficace nel ridurre il ritrovamento di DNA di HPV in qualsiasi momento per tutti e quattro i tipi di HPV contro cui è diretto.
Eventi avversi
La maggior parte degli eventi avversi registrati durante lo studio erano correlati all’iniezione (febbre nei 5 giorni dopo l’iniezione, dolore al sito di iniezione), ed erano più comuni nel braccio vaccinato che in quello placebo (69% vs 64%); non si è registrato nessun evento avverso serio correlato al vaccino.
Discussione
Lo studio ha dimostrato l’efficacia della somministrazione profilattica del vaccino quadrivalente anti HPV in giovani uomini tra 16 e 26 anni per la prevenzione di lesioni genitali esterne associate all’infezione ad HPV di tipo 6, 11, 16 o 18.
Nella popolazione per-protocollo si sono osservati tre casi di lesioni genitali esterne, che potrebbero rappresentare reali fallimenti vaccinali, o mancata determinazione di lesioni genitali o di HPV DNA al basale.
I risultati indicano che il vaccino quadrivalente è efficace nella prevenzione delle infezioni da HPV e delle patologie correlate nella popolazione maschile. I condilomi acuminati, la lesione più frequentemente correlata all’infezione da HPV, si associano a stati patologici, sia fisici che psicologici e il loro trattamento ha alti tassi di fallimento ed è costoso.
I risultati dello studio suggeriscono che la vaccinazione profilattica con il vaccino tetravalente anti HPV può ridurre l’incidenza di condilomi acuminati nei giovani uomini, come si è osservato in Australia a 3 anni dall’introduzione del programma vaccinale.
È anche probabile che la prevenzione delle infezioni da HPV possa contribuire alla prevenzione di tumori anogenitali, neoplasie intraepiteliali, papillomatosi respiratoria ricorrente, cancro orofaringeo e trasmissione di HPV, ma ciascuno di questi outcome potenziali dovrà essere direttamente dimostrato.
Per ulteriori approfondimenti: clicca qui
Monache, condilomi, virus, e cancro.
Nuns, Warts, Viruses, and Cancer
Daniel DiMaio, MD, PhD
Department of Genetics, Yale School of Medicine, New Haven, Connecticut
YALE JOURNAL OF BIOLOGY AND MEDICINE 88 (2015), pp.127-129.
Review
Il primo indizio furono le suore: a Verona, intorno alla metà del 19° secolo, il medico Domenico Rigoni-Stern osservò che i tumori dell’utero erano relativamente comuni tra le donne della città e soprattutto tra le prostitute, ma rari nelle monache che vivevano nei conventi. Incuriosito da questa osservazione giunse a postulare che vi fosse una correlazione tra il numero di partner sessuali e il rischio di sviluppare un cancro della cervice, e che in questa patologia fosse implicato un agente patogeno sessualmente trasmissibile.
La ricerca di questo agente durò per decenni, e finalmente la scoperta arrivò in modo inaspettato all’inizio del 20° secolo, quando alcuni cacciatori catturarono nelle pianure del Midwest statunitense strani conigli con le corna. L’analisi di queste protuberanze rivelò che non si trattava affatto di corna, ma di condilomi o papillomi altamente cheratinizzati, e la microscopia elettronica mostrò che queste lesioni contenevano alti numeri di particelle virali: era stato scoperto il primo papillomavirus.
Ma qual è il legame tra queste scoperte e le osservazioni di Rigoni Stern?
I condilomi dei conigli infettati in laboratorio talvolta evolvevano in carcinomi a cellule squamose, e dunque il papillomavirus aveva un potenziale effetto carcinogenico. Fu lo scienziato francese Gerard Orth ad osservare che il papillomavirus può indurre il cancro anche nell’uomo.
Nei primi anni ’80 si osservò che le lesioni precancerose della cervice spesso somigliavano ai condilomi da papillomavirus umano (HPV), e Harald zur Hausen, a Heidelberg, iniziò le ricerche per verificare se realmente il papilloma fosse implicato in questa patologia.
Poiché esistono diversi tipi di HPV che causano infezioni in diverse parti del corpo, non fu semplice identificare quello coinvolto. Usando DNA di HPV6 come sonda, zur Hausen scoprì nei carcinomi della cervice due nuovi tipi di HPV, HPV16 e HPV 18, e dimostrò che il 70% dei tumori della cervice contiene DNA di HPV 16 o 18, e che la prevalenza di HPV in questi tumori è praticamente del 100%. Queste scoperte valsero a zur Hausen il premio Nobel nel 2008.
La dimostrazione finale che è l’HPV a promuovere i tumori della cervice verrà dall’utilizzo dei vaccini anti-HPV. Gli studi clinici hanno dimostrato che questi vaccini prevengono le infezioni dai più comuni HPV genitali e riducono l’incidenza delle lesioni precancerose, e in prospettiva ci si attende che l’utilizzo dei vaccini anti-HPV riduca l’incidenza dei carcinomi della cervice, fornendo così la conferma definitiva; data la lentezza del processo di carcinogenesi bisognerà però attendere ancora parecchi anni.
Il vaccino anti-HPV non è il primo intervento di salute pubblica relativo al carcinoma uterino, infatti questa patologia è oggetto di campagne di screening da molto prima che si scoprisse il link con lo HPV: George Papanicolau scoprì nella prima metà del secolo scorso che, prelevando cellule della cervice uterina e osservandole al microscopio, si può individuare precocemente la presenza di cellule displastiche che segnalano le prime fasi della malattia.
Su queste basi è stato reso disponibile un test di screening, il Pap (in onore di Papanicolau) test. Grazie al pap test, l’incidenza del cancro della cervice è molto calata nelle aree sviluppate del pianeta, mentre rimane la principale causa di morte da cancro nelle donne laddove i programmi di screening non sono disponibili.
I vaccini anti-HPV hanno la potenzialità di ridurre ulteriormente il tasso di tumori cervicali, e vi sono evidenze che laddove sono stati estesamente adottati l’incidenza di condilomi da HPV sta calando non solo nelle ragazze, ma anche nei ragazzi non vaccinati che beneficiano indirettamente dell’immunità delle loro partner sessuali.
Se i vaccini anti-HPV saranno adottati nei paesi in via di sviluppo e confermeranno l’efficacia mostrata negli studi clinici, si stima che le morti da cancro della cervice potranno essere diminuite del 10%.
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